The small and bizarre world of Shanghai
Questa sera sono passata in ospedale perche' ero a corto di certe medicine e avevo bisogno di vedere un medico per rifarmele prescrivere.
Solitamente vado in una delle cliniche internazionali, quelle in cui ti pare di essere dentro uno degli ospedali delle soap opera americane e ti senti una celebrita' per il semplice fatto che puoi permetterti di metterci piede (hanno dei prezzi folli - se non avessi l'assicurazione medica globale, cliniche del genere continuerei a vederle esclusivamente nei film americani).
Il medico di turno e' ogni volta una sorpresa. La garanzia che si ha in questi ospedali internazionali e' che tutto il personale parla quanto meno l'inglese (spesso anche un paio di altre lingue). Quindi, puo' provenire da qualsiasi angolo di mondo (ho perso il conto di nazionalita' e miscugli etnici di medici che ho conosciuto in questi anni).
Questa sera e' stata la volta di un britannico-australiano.
Saputolo, non mi aspetto nessun esotismo o retroscena particolar - del resto, il medico dell'ultima volta era una signora malesiana che parlava qualcosa come 7 lingue ed era specializzata in medicina occidentale e medicina classica cinese.
Ma siccome a Shanghai nulla e' mai quello che sembra o che ti aspetti e le sorprese sono sempre dietro l'angolo, soprattutto la' dove meno te le aspetti, il 'colpo di scena' c'e' stato.
Mi si presenta una sorta di Richard Gere in miniatura (well, in miniatura, intendo un 15 cm piu' basso dell'originale). Che qua' e la' mi dice qualche parola in italiano. Poco strano, penso, dopo tutti i figli di emigrati italiani che incontri e che ti sanno dire quattro o cinque frasi di circostanza.
Infatti, solite domande di circostanza.
Mi chiede di dove sono.
Solita risposta - "Vicino Venezia".
"Ah, sei veneta!", ribatte lui, con un improvviso bagliore negli occhi. "Trevizani magna raiccio, padovani magna gatti, veronesi gran signori" e si inceppa. "No, non sono i veronesi i gran signori", si autocorregge e passa in rassegna tutte le combinazioni finche', soddisfattissimo, arriva alla versione finale - senza contare nel mio aiuto perche' io me n'ero tagliata fuori sin dall'inizio.
"Ah, che bel posto" continua.
"Si, bello in effetti", rispondo io, sentra propriamente scoppiargli di gioia in volto.
Lui mi guarda, quasi deluso, e incalza, deciso a rendere i dovuti onori al Veneto. "Pero' il cibo e' buono. Non ti manca la polenta?". E comincia con la rassegna: "Poenta e oxei, poenta e tocio, ...".
Io ero esilarata. Guarda di cosa finisco a parlare con un medico di condotta australiano in ospedale a Shanghai!
Cosi' si scopre che sua madre e' veneta e il padre pure, per meta'.
Il mio turno di fare domande, allora.
"Di dove esattamente"?, gli chiedo.
"Dalle parti dell'altopiano di Asiago".
"Ah, che bel posto", replico.
"Si, bello in effetti", risponde lui, senza scoppiare di entusiasmo.
E mi metto a ridere, pensando che, dopo tanti giri di parole, pare che alla fine la pensiamo allo stesso modo..
E cosi' si svolge la mia visita medica, a tratti in inglese, a tratti in italiano.
Un italiano decisamente non male, per una volta.
Alla fine, quando ci salutiamo e sta per chiudere la porta, mi chiede "Ma il dialetto lo parli?"
Me lo chiede con un tono cosi' accorato, come se ne andasse della sopravvivenza della sua lingua madre. Come se volesse assicurarsi che ci fosse ancora qualcuno che, out there, si preoccupasse di tenerla in vita. questa sorta di 'lingua in via d'estinzione'.
Ecco dunque come anche una banalissima visita medica diventa a Shanghai occasione di sorprese, risate e riflessioni.
In sala, in attesa della consegna delle medicine, di fianco a me una coppia con una bimba di sei o sette anni. Padre irlandese, sulla sessantina abbondante, madre cinese, di un venticinque anni di meno. La bimba salterellava tra le loro poltrone, intercambiando frasi in inglese e in cinese in tutta scioltezza e spontaneita'.
Scendo in strada, all'angolo la solita povera nonnina cinese che vende braccialetti ed orecchini che fa lei, a mano, con i fiori di gelsomino. Di fianco, le scorazza un giovane cinese in Porsche rossa.
Tutto questo, e molto altro, e' la "mia normale quotidianita'" di Shanghai.
Solitamente vado in una delle cliniche internazionali, quelle in cui ti pare di essere dentro uno degli ospedali delle soap opera americane e ti senti una celebrita' per il semplice fatto che puoi permetterti di metterci piede (hanno dei prezzi folli - se non avessi l'assicurazione medica globale, cliniche del genere continuerei a vederle esclusivamente nei film americani).
Il medico di turno e' ogni volta una sorpresa. La garanzia che si ha in questi ospedali internazionali e' che tutto il personale parla quanto meno l'inglese (spesso anche un paio di altre lingue). Quindi, puo' provenire da qualsiasi angolo di mondo (ho perso il conto di nazionalita' e miscugli etnici di medici che ho conosciuto in questi anni).
Questa sera e' stata la volta di un britannico-australiano.
Saputolo, non mi aspetto nessun esotismo o retroscena particolar - del resto, il medico dell'ultima volta era una signora malesiana che parlava qualcosa come 7 lingue ed era specializzata in medicina occidentale e medicina classica cinese.
Ma siccome a Shanghai nulla e' mai quello che sembra o che ti aspetti e le sorprese sono sempre dietro l'angolo, soprattutto la' dove meno te le aspetti, il 'colpo di scena' c'e' stato.
Mi si presenta una sorta di Richard Gere in miniatura (well, in miniatura, intendo un 15 cm piu' basso dell'originale). Che qua' e la' mi dice qualche parola in italiano. Poco strano, penso, dopo tutti i figli di emigrati italiani che incontri e che ti sanno dire quattro o cinque frasi di circostanza.
Infatti, solite domande di circostanza.
Mi chiede di dove sono.
Solita risposta - "Vicino Venezia".
"Ah, sei veneta!", ribatte lui, con un improvviso bagliore negli occhi. "Trevizani magna raiccio, padovani magna gatti, veronesi gran signori" e si inceppa. "No, non sono i veronesi i gran signori", si autocorregge e passa in rassegna tutte le combinazioni finche', soddisfattissimo, arriva alla versione finale - senza contare nel mio aiuto perche' io me n'ero tagliata fuori sin dall'inizio.
"Ah, che bel posto" continua.
"Si, bello in effetti", rispondo io, sentra propriamente scoppiargli di gioia in volto.
Lui mi guarda, quasi deluso, e incalza, deciso a rendere i dovuti onori al Veneto. "Pero' il cibo e' buono. Non ti manca la polenta?". E comincia con la rassegna: "Poenta e oxei, poenta e tocio, ...".
Io ero esilarata. Guarda di cosa finisco a parlare con un medico di condotta australiano in ospedale a Shanghai!
Cosi' si scopre che sua madre e' veneta e il padre pure, per meta'.
Il mio turno di fare domande, allora.
"Di dove esattamente"?, gli chiedo.
"Dalle parti dell'altopiano di Asiago".
"Ah, che bel posto", replico.
"Si, bello in effetti", risponde lui, senza scoppiare di entusiasmo.
E mi metto a ridere, pensando che, dopo tanti giri di parole, pare che alla fine la pensiamo allo stesso modo..
E cosi' si svolge la mia visita medica, a tratti in inglese, a tratti in italiano.
Un italiano decisamente non male, per una volta.
Alla fine, quando ci salutiamo e sta per chiudere la porta, mi chiede "Ma il dialetto lo parli?"
Me lo chiede con un tono cosi' accorato, come se ne andasse della sopravvivenza della sua lingua madre. Come se volesse assicurarsi che ci fosse ancora qualcuno che, out there, si preoccupasse di tenerla in vita. questa sorta di 'lingua in via d'estinzione'.
Ecco dunque come anche una banalissima visita medica diventa a Shanghai occasione di sorprese, risate e riflessioni.
In sala, in attesa della consegna delle medicine, di fianco a me una coppia con una bimba di sei o sette anni. Padre irlandese, sulla sessantina abbondante, madre cinese, di un venticinque anni di meno. La bimba salterellava tra le loro poltrone, intercambiando frasi in inglese e in cinese in tutta scioltezza e spontaneita'.
Scendo in strada, all'angolo la solita povera nonnina cinese che vende braccialetti ed orecchini che fa lei, a mano, con i fiori di gelsomino. Di fianco, le scorazza un giovane cinese in Porsche rossa.
Tutto questo, e molto altro, e' la "mia normale quotidianita'" di Shanghai.