"Do NOT touch me!"
No, nessuno ha provato a usarmi violenza.
Erano le 10.30 di sera ed eravamo in pochi. Io, l'ultima a salire i gradini.
Davanti a me, appoggiato alla parete di destra, c'era un omino che si trascinava su. Aveva una sorta di disabilità ad una gamba, per cui la trascinava letteralmente, di gradino in gradino, reggendosi allo scorrimano di destra. Poco distante da lui, sulla sinistra, un uomo sui cinquant'anni.
Avevo la musica alle orecchie e, tanto per cambiare, ero in ritardo. Camminavo di fretta, quindi, senza prestare troppa attenzione a quanto mi succedeva attorno. Mi accorgo però che i due cominciano a parlare tra loro. O perlomeno a provare a parlarsi. Qualche parola e battuta in risposta.
L'omino si volta un attimo, quasi cercasse qualcuno con lo sguardo, e noto che è un occidentale. Fermo la musica e ascolto cosa succede, mentre passo loro a fianco.
L'americano mi accenna un sorriso di saluto, passeggero e un pò affaticato, dicendomi "I am a crazy American". Per il fatto che, immagino io, pur nelle sue condizioni fisiche, si avventuri da solo per Shanghai. Poi ritorna al suo "dialogo" col cinese. Un singhiozzo di "ni hao", "thank you" e "good bye", mentre l'altro alla sua sinistra continua a provare a parlargli, tra qualche gesto e qualche mezza frase, e intanto si accorge di me. Ha l'aria distinta, magro, alto, portamento elegante e quegli occhiali tondi come d'osso che ricordano gli intellettuali cinesi di inizio Novecento. Sento che ripete un paio di volte di essere taiwanese e al momento mi chiedo perchè ci tenga così tanto a sottolinearlo.
Lì per lì non afferro la situazione.
Poi capisco che, in tutta questa pantomima, sta sostanzialmente cercando di offrire aiuto all'americano.
Il quale, però, non ne vuole sapere.
Ringrazia, prima in inglese e poi in cinese, sorridendo e mostrando che, un pò alla volta, ce la fa da solo.
Il cinese non è soddisfatto però e si gira, a tratti verso di me, come volessi che intercedessi per lui, a tratti verso l'americano, come a dirgli che fa sul serio. Ad un certo punto, mi si avvicina, mi molla le sue borse, mi passa il suo portatile (sic!) e scende di corsa un paio di gradini per aiutare l'americano a salire.
Questi, allora, va su tutte le furie. Con un tono e un volume via via crescenti, e sempre meno amichevoli, lo ammonisce: "Do not touch me. No, I don't want you to touch me". Il cinese si volta verso di me, con aria smarrita e interrogativa.
Io dapprima penso che magari ci sia una vena di razzismo da parte dello straniero. Ma lui subito mi dice, scocciato: "They do this all the time!" Io provo a spiegargli che lo fanno con buone intenzioni, che vogliono semplicemente essere gentili e d'aiuto.
Lui non ne vuole sapere, minaccia di voltarsi e tornare indietro e arriva ad urlare, a quel punto verso qualsiasi creatura che possa trovarsi nel raggio di 300 metri, "Do not touch me". Dopo di che, al culmine della pazienza, fa effettivamente retrofront e comincia a scendere le scale.
Il taiwanese ci rimane malissimo.
Il viso deluso, quasi colpevole e del tutto incapace di capire cosa abbia fatto di male.
Io - imbarazzata - "mi scuso" con lui, lo ringrazio e gli spiego semplicemente che l'altro desiderava farcela da solo e che sì, magari era pure un pò strano. Infatti a quel punto - siamo ormai in cima alle scale - gli si affianca un altro cinese che gli dice "Guarda, ho provato anche io ad aiutarlo. Lascialo perdere, non vuole. Lascia perdere."
Capisco che l'americano possa voler "fare da solo", per non sentirsi dipendente dagli altri, per sentirsi sicuro, per dimostrare a se stesso che davvero ce la può fare, ecc ecc. Però, ci si lamenta molto spesso della presunta "mancanza di buone maniere" dei cinesi, della loro poca "solidarietà" o, persino, "umanità". Una situazione come questa, invece, dimostra esattamente il contrario e, anzi, mette in cattiva luce, per una volta, "lo straniero".
Sono convinta che parte della colpa stia anche in quel solito stile americano. Così diretto e blunt, non piace affatto a diverse culture, tra cui quella cinese che, invece, si snoda e articola tutta attorno alle sfumature della "comunicazione indiretta" - come tanta cultura asiatica del resto.
Non mi è successo niente di pericoloso - actually, quite the opposite in fact.
Stavo uscendo dalla metro ieri sera. Era una di quelle uscite senza scala mobile, con una quarantina di gradini. In effetti, non proprio una passeggiatina.
Stavo uscendo dalla metro ieri sera. Era una di quelle uscite senza scala mobile, con una quarantina di gradini. In effetti, non proprio una passeggiatina.
Davanti a me, appoggiato alla parete di destra, c'era un omino che si trascinava su. Aveva una sorta di disabilità ad una gamba, per cui la trascinava letteralmente, di gradino in gradino, reggendosi allo scorrimano di destra.
Avevo la musica alle orecchie e, tanto per cambiare, ero in ritardo. Camminavo di fretta, quindi, senza prestare troppa attenzione a quanto mi succedeva attorno.
L'omino si volta un attimo, quasi cercasse qualcuno con lo sguardo, e noto che è un occidentale.
L'americano mi accenna un sorriso di saluto, passeggero e un pò affaticato, dicendomi "I am a crazy American". Per il fatto che, immagino io, pur nelle sue condizioni fisiche, si avventuri da solo per Shanghai.
Lì per lì non afferro la situazione.
Poi capisco che, in tutta questa pantomima, sta sostanzialmente cercando di offrire aiuto all'americano.
Il quale, però, non ne vuole sapere.
Ringrazia, prima in inglese e poi in cinese, sorridendo e mostrando che, un pò alla volta, ce la fa da solo.
Il cinese non è soddisfatto però e si gira, a tratti verso di me, come volessi che intercedessi per lui, a tratti verso l'americano, come a dirgli che fa sul serio. Ad un certo punto, mi si avvicina, mi molla le sue borse, mi passa il suo portatile (sic!) e scende di corsa un paio di gradini per aiutare l'americano a salire.
Questi, allora, va su tutte le furie. Con un tono e un volume via via crescenti, e sempre meno amichevoli, lo ammonisce: "Do not touch me. No, I don't want you to touch me".
Io dapprima penso che magari ci sia una vena di razzismo da parte dello straniero. Ma lui subito mi dice, scocciato: "They do this all the time!"
Lui non ne vuole sapere, minaccia di voltarsi e tornare indietro e arriva ad urlare, a quel punto verso qualsiasi creatura che possa trovarsi nel raggio di 300 metri, "Do not touch me". Dopo di che, al culmine della pazienza, fa effettivamente retrofront e comincia a scendere le scale.
Il taiwanese ci rimane malissimo.
Il viso deluso, quasi colpevole e del tutto incapace di capire cosa abbia fatto di male.
Io - imbarazzata - "mi scuso" con lui, lo ringrazio e gli spiego semplicemente che l'altro desiderava farcela da solo e che sì, magari era pure un pò strano. Infatti a quel punto - siamo ormai in cima alle scale - gli si affianca un altro cinese che gli dice "Guarda, ho provato anche io ad aiutarlo. Lascialo perdere, non vuole. Lascia perdere."
Capisco che l'americano possa voler "fare da solo", per non sentirsi dipendente dagli altri, per sentirsi sicuro, per dimostrare a se stesso che davvero ce la può fare, ecc ecc. Però, ci si lamenta molto spesso della presunta "mancanza di buone maniere" dei cinesi, della loro poca "solidarietà" o, persino, "umanità".
Sono convinta che parte della colpa stia anche in quel solito stile americano. Così diretto e blunt, non piace affatto a diverse culture, tra cui quella cinese che, invece, si snoda e articola tutta attorno alle sfumature della "comunicazione indiretta" - come tanta cultura asiatica del resto.