L'amore ai tempi dei cinesi
© Silvia Sartori, Jinhong, Gennaio 2012. |
Shanghai -- Secondo
giorno di ritorno al lavoro (sì, perché ieri – domenica – qui era una giornata
di lavoro, uno di quei giorni festivi in cui si lavora “per recuperare” le
vacanze) e in men che non si dica si torna a fare i conti col corollario di ciò
di cui parlavo nel mio penultimo post.
L’argomento
che e’ immancabilmente nella bocca di qualsiasi cinese (o, almeno, di tutti
quelli che incontro io): in citta’ come in campagna, tra i poveracci come tra gli
abbienti.
Quello
che per me e’ diventato il vero e proprio slogan della società cinese attuale: 压力很大 (yālì
hěn dà), letteralmente “pressione molto forte”.
Un argomento
su cui, da solo, potrei scrivere un libro.
Un
argomento complesso, sfaccettato e costantemente in evoluzione ma che incide in
maniera impressionante sulla vita quotidiana di tantissimi dei miei “connazionali
acquisiti”.
Rimembra,
niente “dolce vita” da queste parti.
Quindi,
baldo laowai, reduce dalla tua
boccata d’aria – in senso anche letterale – in luoghi ameni, lasciati alle
spalle le tue felici memorie vacanziere e torna alla realtà. Alla realtà di
quelli per cui ‘life is tough’, di
quelli che devono sempre study hard, work hard e do their best. La realtà di quelli che di grilli per la testa ne
hanno ben pochi e la cui parola d’ordine e’ invece: realismo. Realismo e
pragmatismo. In qualsiasi ambito.
Come
spesso succede in questi casi, le sorprese ti si presentano quando e dove meno
te le aspetti. Nelle circostanze e nei momenti più innocui e insospettabili.
Per
me, e’ avvenuto in una lezione di cinese, apparentemente una delle tante.
Oggi
avevo lezione con Kelly, una cinese piuttosto fuori dalle righe, di quelle intraprendenti,
frizzanti, peperine, che zaino in spalla prende e parte da sola. Kelly anche
lei reduce dal suo viaggio epico per il Capodanno cinese. Infatti, visto come
ci eravamo lasciate l’ultima volta, le chiedo subito come abbia fatto a tornare
a Shanghai: trovato il biglietto? Quando l’hai preso? Per il pullman o il
treno?
Ovviamente,
Kelly ce l’aveva fatta a tornare a Shanghai in tempo, con una serie di
peripezie che l’hanno ri-depositata alla stazione dei treni alle tre di notte di
domenica. Ma questa volta e’ stato un ritorno diverso, ed arrivata a Shanghai Kelly
si e’ chiesta: “Ma che ci faccio io qui? Perche’ sono a Shanghai?”
[Io e
la mia collega ci siamo scambiate uno sguardo di piena empatia: How we know what you mean, dear Kelly! Quante
volte quello stesso pensiero e’ balzato alla mente anche a noi, riatterrando a
Shanghai ...]
Kelly
vive a Shanghai da luglio scorso. Non ha studiato qui. Qui non ha famigliari
ne’ amici, e d"i tempo di farmene di nuovi non ne ho, perché ora lavoro". Kelly
si sente sola a Shanghai e, trascinando la sua valigia pesante, tra taxi che
non si trovano e la metro ancora chiusa, arrivata a Shanghai e’ scoppiata a
piangere. Da quando è tornata, Kelly tira le somme della sua vita qui e ci
trova davvero poco senso, ora che il suo ragazzo è stato trasferito lontano da
Shanghai. Ma a dire il vero non solo a causa di questa distanza.
E qui
allora comincia ad affiorare la vera punta dell’iceberg.
Perche’
la festa di Capodanno Cinese e’ anche il momento di ‘incontri ravvicinati’
prolungati con la famiglia, quel momento dell’anno in cui si fanno certi
‘bilanci familiari’. Per tanti i giovani, e’ il momento in cui si porta a casa il
fidanzato o la fidanzata, e si risponde alla fatidica domanda: “Allora, quando
vi sposate?”
Kelly,
classe ’88, non ha propriamente il matrimonio tra i suoi obiettivi di breve
periodo. Non perche’ sia “una poco di buono” ma perche’ si e’ appena laureata,
ha appena iniziato a lavorare e ora vuole fare un po’ di esperienze e chiarirsi
un po’ le idee.
Altro
discorso, invece, per il suo ragazzo che, piu’ vecchio di lei di 4 anni circa,
e’ pressato dalla famiglia perche’ si sposi al piu’ presto. Per lui, “e’ giunta
l’ora” anagraficamente.
I due
stanno insieme da meno di un anno e mezzo, speso per lo piu’ a distanza poiche’
lui all’epoca lavorava a Shanghai mentre lei studiava a Xi’an (circa 1,200 km
di distanza). Un mese dopo che lei, a studi terminati, e’ venuta e ha trovato
lavoro a Shanghai, lui e’ stato trasferito in pianta stabile a Canton (a due
ore e mezza di volo da Shanghai), e intanto sta comprando casa nella sua citta’
natale, nella regione dello Hunan.
Fin
qua, nulla di particolarmente inconsueto o drammatico. Almeno fino a quando Kelly
ci racconta che, mentre lei è tornata al lavoro, il nostro “Renzo” e’ ancora a
casa in vacanza. A fare cosa? Ad incontrare potenziali promesse spose, incontri
che gli hanno combinato i genitori, in combutta con altri “genitori preoccupati”.
Una dopo l’altra, Renzo ci sta uscendo, giorno dopo giorno, da bravo figliol
confuciano che non vuole recare offesa o dispiacere ai genitori.
A questo
punto la mia collega ed io ci destiamo dal nostro torpore, fagocitate in una
storia che si farà per noi sempre piu’ surreale ed anacronistica.
“Ma la
sua famiglia non sa che ha gia’ una ragazza?”
“Ma
lui non puo’ rifiutarsi?”
Ma,
ma, ma - una cascata di domande, una dopo l’altra.
Kelly
risponde pacata, senza stupore o veemenza. Sì, la famiglia di lui sa che lui ha
una ragazza. Ma sa anche che non hanno intenzione di sposarsi nel breve
periodo. “Lui ha veramente molta pressione”, continua a ripetere lei.
Lui
che non vuole ferire i suoi genitori, lui che ha bisogno di certezze al piu’
presto.“Lui mi ha chiesto gia’ piu’ volte di sposarci ma a me non piace venir
spinta a farlo. Ho bisogno di tempo.” “Renzo” questo in parte l’ha capito ma in
cambio le ha chiesto “una promessa”. “Fidanziamoci almeno” – “promettimi che ci
sposeremo”. Ma Kelly non vuole fare finte promesse, o promesse partorite dalla
sola pressione.
E così,
sono precipitati nel limbo.
Renzo,
sempre piu’ schiacciato dalla pressione. Per lui, continua a ripetere Kelly
alias Lucia, yālì hěn dà. La
pressione è forte perché ha “già” 28 anni. Perché si aspettano che quest’anno
si sposi e entro un paio d’anni diventi papà. Perché ha già a casa una sorella
di 34 anni che non è sposata e in famiglia non vogliono un bis della
“disgrazia”. Perché “i suoi genitori sono già anziani”.
“Quanti
anni hanno?”
“Sono
ormai sessantenni.”
“Ma a
sessant’anni non sono anziani!”
“Questa
è un’altra differenza tra la vostra cultura e la nostra.”
“Lucia”
è in pieno vortice da confusione. Lei, che era sempre così “spirito libero”,
così “padrona del suo destino”, d’un tratto si mostra fragile,vulnerabile e
insicura. Più prosegue il suo racconto
o, meglio, il suo sfogo, più la sua voce pare annaspare, e lei si fa tremante. Trattiene
a stento singhiozzi e lacrime ma allo stesso tempo sembra sollevata dal poter
parlare di questa faccenda con qualcuno, e con qualcuno di “prospettive diverse”.
Lei
che a Shanghai non ha nessuno, che pare capire le ragioni di tutti e non
avercela con nessuno, passa in rassegna tutte le opzioni del caso: “Cosa dovrei
fare ora? Mi trasferisco a Canton? Vado a casa dei suoi? Lo dimentico e mi cerco
un ragazzo straniero?”
“Cosa
ne dice tua mamma?”, le chiedo.
“I
miei genitori non sanno che ho un ragazzo”. Risponde con la stessa pacatezza
con cui ti racconta che ogni giorno, queste settimane, il suo ragazzo sta
uscendo con delle “potenziali promesse spose”, senza dir loro che lui, in
realtà, una ragazza già ce l’avrebbe.
“Siete
assieme da un anno e mezzo e non ne sanno nulla?! Ma non hai detto che i tuoi
genitori, o comunque almeno tua mamma, sono di mentalità aperta?”
“Mia
mamma, sì, è di mentalità aperta. Però comunque si preoccuperebbero. Loro
vogliono che io adesso pensi solo a studiare. E poi vorrebbero incontrarlo e
verificare che sia alto almeno un metro
e ottanta perché non sia più basso dei miei fratelli e che abbia almeno il mio
stesso livello di studi, se non più alto.”
Un’escalation sempre più surreale.
Yālì hěn dà davvero.
Io mi
sento mancare l’ossigeno, e penso a quanto sia fortunata a non essere nata da
questa parte del mondo. La mia collega spagnola esclama: “Ah, e io che pensavo
che la mia vita fosse complicata!”
Quello
che, in tutto questo, più mi lascia esterrefatta è come Kelly sembri riuscire ad
analizzare tutta la questione su un piano puramente “pratico”. Per lei, in
perfetto stile cinese, tutto è alfine riconducibile a due “spiegazioni”: xiànshí (realista, realistico) e méi bànfǎ (“non c’è soluzione”).
È
“realistico” che lui, pressato dai genitori, “già ventottenne” e con una
fidanzata che non gli promette di sposarlo adesso, obbedisca ed esca con altre
ragazze. “Non c’è soluzione”. Lui sa che, così facendo, la ferisce, ma “è
realista” e “ha molta pressione”. E, attenzione, la stessa cosa succederebbe se
fosse lei a comportarsi così. “Sì, lui ne sarebbe geloso”, però comprenderebbe
e accetterebbe, perché lei non farebbe altro che comportarsi in maniera
“realistica”.
(Come
dire, almeno nella disgrazia la parità dei sessi…)
Come
sempre in queste situazioni (non è la prima volta che ascolto storie di questo
tenore in Estremo Oriente), io mi ostino a fare la mia domanda, ingenua oramai:
“Ma l’amore?”.
“L’amore
non conta nel rapporto tra lui e questa potenziale promessa sposa perché lui dice
che avranno “il tempo di una vita” per conoscersi e imparare a volersi bene”.
Il
ragionamento non fa una piega. Pragmatismo nudo e crudo. Game over.
Quello
che la nostra Lucia davvero non si spiega, quello che da due giorni la sta
dilaniando, le impedisce di dormire e di lavorare, è perché lui ora non le
parli più. Quando lei lo chiama, non risponde e non la richiama. E a Capodanno
(cinese) lui le manda un sms augurandole “un buon anno”. Con un tono distaccato
e distante. E lei si tormenta al pensiero che lui stia ormai facendo coppia
fissa con una di queste ragazze.
“Com’è possibile che una persona cambi così in
fretta?” continua a sussurrare, a chiedersi ad alta voce.
“Forse
non è destino”, aggiunge alfine. Ma pare poco convinta da questo “tentativo di
spiegazione.”
Kelly
non sembra essersi accorta che la nostra ora di lezione è terminata già da
un’ora abbondante. Non pare avere fretta d’andarsene e, anzi, più srotola la
matassa, più sembra confusa su cosa fare ora.
La
mia collega ed io siamo oramai ammutolite, di ghiaccio, col volto di gesso. Ci
fa tenerezza e pena, lei che alterna “Non importa, entro un mese saprò come va
a finire” a “Sto pensando di andare in stazione, ora, e prendere un treno fino a
casa sua.”
Secondo
noi, non ci sara’ bisogno di aspettare un mese.
A me
fanno gran pena questi giovani cinesi. Che devono tener testa a tante
aspettative (leggi pressioni) riposte in loro. Che sono molto spesso figli
unici. Che devono continuamente fare i conti con la concorrenza dei grandi
numeri. Che devono study hard per riuscire
ad entrare nelle universita’ migliori. Che devono work hard per riuscire ad avere un buon lavoro e riuscire a
permettersi una casa e sostenere figli, genitori e suoceri.
E
che, in tutto questo, mi sembrano spesso alla ricerca di punti cardinali.
A
meta’ strada tra i valori della vecchia generazione, tradizionale, e quella
giovane, occidentale e moderna. Tra vecchi valori in fase di parziale riabilitazione
e rinnovamento post- Rivoluzione Culturale e una religione che torna a muovere
timidi passi.
Spesso
mi sembrano alla ricerca di una bussola.
Non
ci sara’ bisogno neppure di arrivare alla prossima lezione.
Oltre
alla pena, Kelly mi ha lasciato qualche preoccupazione. Perche’, quando noi non
ce lo aspetteremo, i cinesi spesso compiono invece scelte impulsive: tentano il
suicidio, nel giro di una notte - senza preavviso alcuno - fanno armi e bagagli
e se ne vanno.
Allora,
prima di andare a dormire, mando un sms a Kelly.
Lei
mi risponde subito.
“Renzo”
le ha raccontato di essere andato a letto “with
that woman”, come scrive lei.
“My world collapsed.”
Sono
sicura che non ne avro’ ancora molte, di lezioni con Kelly.
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