Di grattacieli e sassolini

Shanghai - Qualche anno fa un diplomatico italiano che si apprestava a lasciare Pechino, dopo anni di missioni in Estremo Oriente, mi raccontava di come da queste parti del mondo "riescano a costruire un grattacielo overnight ma poi ci mettono una settimana, in gruppo, a figure out come fare a spostare il sassolino caduto in mezzo alla strada".

Nel marasma di presunte pillole di saggezza che circolano su "how to run a successful business in China" e compagnia briscola - pillole peraltro scritte spesso da gente che in Cina ci ha messo piede in qualche toccata e fuga di business trip o ci ha vissuto sotto la campana di vetro dell'espatriato, e che nella maggior parte dei casi non ha mai gestito in prima persona nessun business - nel vortice di quel marasma e pur nella sua semplicità iperbolica, quella del diplomatico è una delle immagini effettivamente piu' acute che abbia sentito sulla decodificazione delle differenze inter-culturali tra Occidente e Oriente.

All'epoca era da poco che lavoravo in Cina e lì per lì non diedi molto peso alle sue parole.
In questi ultimi mesi, invece, quest'immagine m'è tornata alle mente quasi quotidianamente, una sorta di grillo parlante invisibile che mi siede sulla spalla mentre sono in ufficio. Mi sussurra queste parole all'orecchio e intanto mi da' una piccola pacca sulla spalla, per ricordarmi che non sono io che sono precipitata in un novello Wonderland a' la Alice ma che quelle situazioni dai contorni surreali sono l'ordine delle cose quaggiu'.
Rassicurante perlomeno rammentarsi che non si e' vittime di una farsa o non si ha perso il senno ma che bisogna 'semplicemente' risettarsi su "modalita' asiatica".

Prestandoci attenzione, lo puoi constatare quasi quotidianamente, in situazioni banali come anche in contesti piu' grandi: le cose piu' incredibili, quelle che sanno di impossibile, qui sono presto fatte, senza troppi squilli di trombe o sguardi increduli. In compenso, quello che per noi e' ben riposto nel bagaglio delle ovvieta', qui diventa spessissimo acrobazia da mago. E il mago lo diventi tu, che devi stare a tirare fuori dal cilindro ogni minimo dettaglio, delle cose (per te) piu' scontate e banali, che il tuo interlocutore cinese ascolta a bocca aperta e si affretta persino ad annotare nei suoi quadernini.

Un esempio per tutti: quest'estate, in meno di sei settimane, io e la mia assistente abbiamo organizzato da zero una conferenza di 130 persone al Padiglione UE dell'Expo. Due persone, sei settimane contro la valanga di restrizioni e limitazioni che un evento della portata dell'Expo comporta. E tutto poi e' andato liscio.

Allo stesso tempo, ci ho messo piu' di tre mesi per farmi fare un poster del progetto a cui lavoro. Un banalissimo poster A5, con un paio di foto, un po' di logo, una decina di paragrafi. Avevo la grafica e il contenuto gia' pronti e cio' nonostante nessuno dei cinesi a cui mi sono rivolta (assistenti, grafici, professional printers), nessuno e' riuscito a stampare una cosa non dico da Louvre ma corretta. Colori sfuocati, impaginatura storta, tipo di carta sbagliato. E dovevo sempre essere io ad accorgermi di queste cose, a far loro presente che avevano sbagliato qua e la, che se la copia stampata e' diversa da quella in versione digitale vuol dire che non e' corretta, che se il testo o l'impaginazione sono diversi, allora non vanno bene. "Ma non vanno bene in che senso?" E allora prendi pennarelli e disegnaci sopra schizzi, fatti fare copie campione, mostragli l'originale che ti avevano stampato in Europa (e che tu volevi semplicemente, banalmente, farti ristampare qui - anche tu, insomma, che pretese!).

Morale della favola: Dopo tre mesi di estenuanti, strazianti negoziazioni, dove ogni presunto punto di arrivo si trasformava d'un tratto in un nuovo punto di partenza, ho alzato bandiera bianca. Il mio bel poster me lo faro' tra qualche mese ex novo, pigliando qualcuno che sappia comporre i tassellini del mini-puzzle da solo, dall'inizio alla fine, of course sempre sotto la mia vigile guida e supervisione.

Sono le tante, piccole, differenze di questa natura a rendere difficili e complicati i rapporti tra il Vecchio Mondo e l'Asia. Non si tratta di stare a studiare grandi nuovi sistemi metafisici o modelli socio-politici, basterebbe gia' saper prendere atto del fatto che anche le ovvieta' non sono tali in ogni angolo di mondo.
Quando questa mattina un collaboratore cinese ha scritto 'you are welcome' ad un tizio (europeo) interessato a partecipare ad un nostro programma, ho fatto presente alla mia assistente (cinese) il mio stupore per il fatto che il collaboratore abbia accettato cosi, senza troppi indugi, il foreign applicant. "Non l'ha accettato" - mi ha spiegato lei "ha solo voluto essere educato e dargli il benvenuto. Sta a te ora decidere se vogliamo farlo partecipare o meno."

Voila'.
Se da noi dai il benvenuto a qualcuno, logica ed etichetta vorrebbero che automaticamente lo stessi anche accogliendo. Invece qui no, e tutto va nuovamente rimesso in discussione. Ventiquatt'ore di aerobica mentale.