Life in a bubble
“Palloncini di
vetro”
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Shanghai – Recentemente sono stata a cena con qualche amica e
qualche “amica dell’amica”. Terminata la cena, decidemmo di andare a prendere
un drink in un altro locale ma,
oramai in taxi, ci rendemmo conto che nessuna di noi aveva l’indirizzo esatto del luogo. Al che,
l’amica dell’amica che sedeva di fianco al tassista - una professoressa
universitaria d’origini nordamericane, sulla quarantina abbondante, che vive a
Shanghai da 4 o 5 anni - in totale disinvoltura e perfetto inglese, si rivolge
al tassista chiedendogli: “Would you know
where … is?”
Sono rimasta sconvolta. Basita.
Chiunque sia stato in Cina anche solo due ora sa
benissimo che nessun tassista in Cina parla inglese (o non piu’ di cinque
parole scontatissime).
Dopo due ore che sei qui neanche ti passa – o neanche dovrebbe passarti – per l’anticamera del cervello di provare a fare un discorso in inglese
con un tassista. (Di fatto, sarebbe tanto utopico quanto pretendere di fare una conversazione in cinese fluente con l'italiano
medio in Italia.)
La scena mi ha lasciata letteralmente sconvolta.
Cosa numero uno: a Shanghai esistono ancora stranieri
che, a distanza di 4 o 5 anni, vivono ancora in un tale “universo parallelo” da
non rendersi conto che atteggiamenti del genere sono completamente out of
space?! Non e’ certo un mistero che ci siano gli “espatriati VIP” che
vivono nei compound da Beverly Hills,
con pacchetti salariali astronomici, benefits
da capogiro e a distanza di anni non hanno un singolo amico cinese. Ma l’amica
dell’amica in oggetto non era di questi. E’ indubbiamente una straniera che qui
fa la bella vita, ma non di quelle che vivono nei ghetti di lusso della
“Shanghai parallela”.
Cosa numero due: a Shanghai esistono ancora stranieri
che, a distanza di 4 o 5 anni, frasi del genere ancora non le sanno dire in
cinese?!
Certo, sono la prima a riconoscere che una delle
attrattive del vivere qui, per noi stranieri, sia la “vita da bolla” che,
consapevoli o meno, nolenti o volenti, tutti in una certa misura facciamo. Alcuni
sono venuti qui per questo. Altri l’hanno scoperta una volta qui. Per entrambi, la vita da bolla è una delle ragioni per cui siamo ancora qui.
Sarebbe ipocrita dichiarare che viviamo “alla cinese”
e come i cinesi. Io per prima non posso dire di farlo, senza per questo vivere
da espatriata di lusso. Pero’ e’ anche giusto riconoscere che, dal non vivere
come i cinesi al vivere da super star
in Cina, ci sono miriadi di sfumature.
Io sono tra quelli che in Cina non sono venuti per
quella “bella vita” che la bolla ti regala. Quella e’ una cosa che casomai ho
scoperto una volta qui e a cui, non lo nego,
mi sono certamente comodamente abituata (pur ritenendola, anche, un equo auto-compenso
per tante faticacce che, su altri versanti, la vita cinese comporta, benche’
questo – lo so – non possa essere una scusa. Alla fine, di venire a vivere qui,
l’ho scelto io. Nessuno mi ci ha obbligata con la pistola puntata contro.) In
una certa misura mi ci sono adagiata anch’io, tenendo pero’ sempre a mente che
cosi’ come seduce, la bolla – per sua natura fragile - si puo’ anche infrangere
da un momento all’altro, e per sempre.
Ma al di la’ di questo, personalmente non capisco what’s the point of moving all the way to China , con
tutte le complicazioni che questo comporta (perche’ vivere qui non e’ solo
“bella vita”), per auto-illudersi di essere una super star. In quel caso, mi sarei cercata un Paese decisamente piu’
semplice e facile.
Come straniero, anzi, come alien (come sono definiti i ‘non cinesi’), si gode indubbiamente a
priori di una corsia preferenziale. Perlomeno come alien bianchi (la musica si fa meno gioconda all’imbrunirsi del colore della pelle).
Perlomeno fino a poco tempo fa.
Ora che citta’ come Shanghai e Pechino sono letteralmente invase
da stranieri - molti dei quali approdati ultimamente piu’ per disperazione da crisi
in Occidente che per presunta “passione per l’Oriente” - la musica sta,
giustamente, cambiando anche per noi. Meno laissez-faire
e piu’ rigidita’, e anche una piu’ palpabile insofferenza mista ad intolleranza
nei confronti degli stranieri.
Con questo, la Cina diventa meno “Paese dei Balocchi”
per gli stranieri. Anche qui: giustamente.
Paese dei Balocchi
perche’ di fatto allo straniero (bianco) era perdonato quasi tutto. E perche’
lo straniero (bianco) era di default
un VIP. Non importa quanti anni avesse, quali effettive capacita’ avesse, quali
vere intenzioni avesse, lo straniero veniva accolto come fosse una sorta di “anima
magnanima che si sacrificava e degnava la Cina della sua onorata presenza di
Uomo Occidentale Bianco”. O almeno questo e’ quello che gli veniva fatto
credere. Perche’ in realta’ lo straniero (bianco) era in primis una ghiotta
mucca bianca da mungere (per poi imbrigliare alle spalle in “trattative e accordi
alla cinese”).
Di fatto, allo
Straniero-nel-Paese-dei-Balocchi era consentito lavorare con visti non
esattamente in regola. Dallo Straniero-nel-Paese-dei-Balocchi non ci si
aspettava che parlasse e capisse il cinese. Ai piedi dello
Straniero-nel-Paese-dei-Balocchi cadevano sciami di donne cinesi. La
Straniera-nel-Paese-dei-Balocchi veniva fermata per strada da uomini cinesi che
la trovavano “identica a Biancaneve”. Lo Straniero-nel-Paese-dei-Balocchi poteva
accedere in automatico alle corsie VIP. Lo Straniero-nel-Paese-dei-Balocchi
poteva permettersi di boss around
senza obiezioni. Per lo Straniero-nel-Paese-dei-Balocchi era normale ricevere
ingaggi per presenziare a meeting tra
cinesi con l’unica mansione di fingere di essere un rinomato architetto (o
altro professionista) associato allo studio cinese di turno. E un’infinita’ di
altre situazioni simili.
C’e’ poco da
nascondersi dietro ad un dito: in un modo o nell’altro, nolenti o volenti, ne
abbiamo tutti approfittato, almeno un po’.
Peccato che ora, giustamente, la Cina si sia stancata
di fare da pista da circo. Rimane un Paese in via di sviluppo ma non per questo
e’ (piu’) disposta a tenere le frontiere indiscriminatamente aperte, tanto meno
ora che in Occidente la festa comincia a finire. Come dice un mio sagace amico,
nel giro di pochi anni siamo passati “da espatriati ad immigrati in Cina”.
Certo, rimane ancora da vedersi come evolvera’ questo nuovo assetto e di che
tinte si tingera’.
Ora come ora, pero’, se vali e hai un effettivo valore
aggiunto da contribuire al Paese, sei il benvenuto. Ma se la tua unica ragione
per cercare lavoro in Cina e’ la disoccupazione in Occidente, se vieni qui solo
per lasciarti alle spalle qualcosa (o qualcuno) e per reinventarti una vita
senza troppi piani ne’ risorse, se arrivi credendo di fare – o, peggio ancora,
di essere – un eroe per il semplice
fatto che sei straniero e bianco e sei arrivato fin qua, beh, e’ meglio che ti
eviti la fatica iniziale e punti direttamente agli altri Paesi-dei-Balocchi che
sono rimasti in giro per il mondo. Se e’ per quello, non serve neanche che tu
vada troppo distante dalla Cina.
Quanto al mandarino: se vuoi venire a vivere qui e non
sei ne’ uno specialista ne’ un senior manager di qualcosa, beh, e’ meglio che cominci a
studiarlo. Perche’ i tempi in cui un tassista ti capira’ – e rispondera’ – in
inglese, sono ancora molto lontani all’orizzonte. Come sempre piu’ lontana,
sospetto, si fara’ la disponibilita’ del cinese medio a scusare a priori lo
straniero che qui vive e il cinese non si e’ mai sforzato di studiarlo.