Il mio campione

Shanghai – Sui cinesi si potrà dire di tutto, però c’è un primato che, a onor del vero, va loro riconosciuto senza mezzi termini: la creatività nell’ingegnare sistemi per fare soldi!

In questo, per me, i cinesi sono campioni massimi. Sommi maestri. Ingegnosi creativi al di là di ogni immaginazione. Chapeau!

Io, il mio campione in quest’arte l’ho individuato un paio di anni fa e questa sera ho avuto il grande onore, e piacere, di conoscerlo di persona. Per me è un genio. Ha ideato una “palestra mobile”.  Ha un furgoncino (piccolino, da dieci-dodici posti) in cui trasporta attrezzi da palestra. Poi, al calar del sole, accosta di fianco al marciapiede del parco vicino casa mia, scarica gli attrezzi, accende a tutto volume la sua musica tunz tunz e giovani e meno giovani del quartiere vengono ad allenarsi (e/o a guardare chi si allena). Un nugolo che va avanti fin tardi la sera.
© Silvia Sartori. Shanghai, Maggio 2011. “Una serata di palestra all’aperto”.
Prima di tutto, il personaggio va descritto: testa rasata (parlandogli, ho notato dei capelli corti corti bianchi, dettaglio molto raro tra gli uomini cinesi, sempre tintissimi di nero corvino), piuttosto alto (per la media locale - sarà un metro e settanta), pantalone color bianco crema (di quelli che, in Italia, vedo solo nei film di mafia), t-shirt nera attillata alla Giorgio Armani (infilata dentro al pantalone) che lascia ben intravedere due signori bicipiti e dei pettorali che si fanno ben valere. Insomma, un figuro di stile alquanto diverso dalla media sociologica in circolazione. E, come la stragrande maggioranza dei cinesi che incontro nelle situazioni di vita ordinaria, assai allegro e simpatico.
Ero uscita a fare una spesa veloce e, per strada, mi ero accorta della “palestra”. (Peraltro, avevo notato anche un upgrade rispetto all'anno scorso: ora c’è in scena anche il kickboxing!) Vedere quella  palestra, andando o tornando dal mercato, è per me un po’ come vedere le rondini a casa (in Italia): se la palestra è in azione, con i suoi aficionados a panza (sudata) all’aria, vuol dire che la bella stagione è iniziata.
Era tanto che non mi capitava di passare da quelle parti di sera e, quando l’ho rivista, ho deciso allora che fosse giunto il momento di andare a parlare con “quelli di casa”. E quindi, tornando dalla spesa, ci ripasso davanti, “casualmente” appoggio un attimo le borse e subito Sua Eccellenza (ad oggi, non so come si chiami)  mi saluta. Quindi vado a parlargli, e scopro così un po’ della storia di questa grande impresa.
Innanzi tutto, scopro che lui, shanghainese, non è (solo) un grande imprenditore. La prima cosa che mi dice, indicandomi i ragazzi e gli uomini agli attrezzi , è che “sono tutti miei studenti. Io sono il loro lǎoshī [maestro]”. Una premessa che subito pone l’intero quadretto su un livello diverso (e superiore): non un becero affare di soldi ma una “missione educativa” (e proprio di missione suona, dal tono e dalla serietà con cui lui me la racconta).
Lui “porta la palestra” lì ogni giorno dalle 7 alle 11 di sera, mi spiega. E, tutto orgoglioso ma senza boria, puntualizza che, di studenti, ne ha fino a duecento. Continua a parlare con gran serietà dei suoi ragazzi e delle sue “lezioni”, come di persona dedita davvero ad un “impegno superiore” (vagamente reminiscente di Fight Club in effetti). Lui dice che “insegna loro ad allenarsi”. E lo fa in questo fazzoletto di parco (saranno una decina di metri quadrati), all’aperto, da fine aprile fino a novembre, a dispetto delle torride temperature estive (già  questa sera, alle 21:30 di un innocentissimo 9 giugno, erano 30 umidissimi gradi). Negli altri mesi si sposta in una palestra (vera e propria) perché fa troppo freddo. “Loro pagano una quota giornaliera o c’è una specie di abbonamento?”, gli chiedo. “No” – mi spiega lui – “500RMB al trimestre” (poco più di 60 euro, veramente poca cosa).
Dopo aver ascoltato il suo racconto, narrato con tono così energetico e con tanta determinazione, voglio allora assolutamente sapere quanti anni abbia. Fino ad allora, ad occhio e croce, pensavo ne avesse una quarantina. Ma si sa, coi cinesi (e gli asiatici in genere), è sempre un terno al lotto. Potrebbero averne 18 come 40.
E infatti lui quanti ne ha? 65!
Portati benissimo. Io reagisco con tutto il mio stupore e gli faccio i complimenti, e allora me la fa lui una domanda: “Ma quello che era con te l’ultima volta è tuo marito?”
Il mio stupore si centuplica. Cosa numero uno, non ho idea di quando sia stata l’ultima volta che sono passata di là. Sono passati mesi. Cosa numero due, ho ancor meno idea di chi fosse con me all’epoca.
“Ma come fai a ricordarti?”, gli chiedo, incredula e divertitissima.
E lui (serissimo): “Come posso non ricordarmi?”
Ecco, questi sono quei momenti per cui dalla Cina non me ne andrei mai, e i cinesi me li sposerei tutti. E quest’ultimo paio d’ore è un esempio di come, nella vita quotidiana qui, passi imprevedibilmente da un estremo all’altro nel giro di un attimo: dalla cena “posh” col ratto e con la cameriera da economia dirigista a, un’ora dopo, l’imprenditore creativo che si ricorda della tua vita di 3 mesi fa (ho continuato a ripensarci finché mi sono ricordata di essere effettivamente passata a marzo, velocemente, e di aver proprio mostrato la palestra ad un amico).
(E ancora c’è qualche imbecille di straniero che va a dire in giro che in Cina si sta bene “perché qui puoi fare quello che vuoi che tanto nessuno ti controlla”).  
I love China.