Tornare al mondo

In itinere -- Sono qui in treno, assorta nelle mie riflessioni. Rifletto su quando rifletta la gente del giorno d’oggi, in Occidente come pure ad Oriente. In questo preciso istante, qui su questo vagone, io sono l’unica a non essere appesa ad un auricolare, a non essere incollata ad un iPad. Pare che ci sia questo bisogno spasmodico di essere incessantemente  occupati e distratti mentalmente. Non sia mai che si dia spazio ad uno spiraglio di silenzio e di “vuoto benefico”. 

E poi torno a riflettere su questa sensazione del ritorno in Italia. Sono passati gli anni, sono cambiate le città da cui ritorno ma le impressioni non sembrano essersi alterate di molto.
Come mi sembra l’Italia quando torno dall’Asia?
La declinazione in riposta è ormai sempre la stessa.
Silenziosa: chi ha tolto l’audio?
Vuota: dov’è la gente? Dove sono le persone?
Lenta, a tratti ferma: ma qui non cambia mai nulla?
Piccola: tutto è in piccole dimensioni, tutto è su piccola scala.

Il mio sguardo continua a fotografare lo scorrere del paesaggio fuori dal finestrino. Mi prende questa sensazione  di trovarmi come fuori dal mondo. Quando torno in Occidente mi sembra che qualcuno prema il pulsante di pausa sulla mia vita, che la storia rallenti fino a fermarsi in standby e diventare un fotogramma pressoché immobile. Al ritorno in Oriente, quello stesso qualcuno preme su play e tutto riparte, veloce frenetico caotico affollato non-stop. Come quei videoclip che, con moving forward, riprendono l’attraversamento pedonale di Shibuya (Tokyo) nell’arco di una giornata: centinaia e centinaia di persone, che vengono, vanno, fanno. 

In questo senso, per me, tornare in Asia è un po’ come tornare al mondo.

PS: Sarebbe curioso sapere che impressione hanno gli altri italiani che vivono all’estero, da qualsiasi parte del mondo ritornino.