"Non lo so"

Ovvero: Una Weltanschauung cinese alternativa



Shanghai - Questa sera sono rientrata a casa in taxi. Erano le 9.30 pm, io ero assolutamente congelata, piuttosto annoiata, assorta nei miei soliti interrogativi esistenziali e con una certa perplessità riflettevo su cosa mi sarei cucinata per cena, visto il poco che m'è rimasto in cucina.
Dopo un paio di minuti, il tassista inizia il suo rituale.
"Da quale paese vieni?"
(A seguire, di solito: "Da quanto tempo sei qui da noi in Cina?", "Ah, come parli bene cinese!" - basta dir loro ni hao che poi ti elogiano di default - "Quanto guadagni al mese?", "Sei sposata?")
"Italia". Non faccio a tempo di terminare di dirlo che subito mi dò dell'idiota per continuare ad essere sempre così tediosamete sincera e poi sentirmi dire le solite frasi sul calcio italiano o sulle scarpe di pelle italiane.
Mi riprometto, la prossima volta, di spacciarmi per francese o qualcosa del genere, quando lui d'un tratto borbotta "ciao" e, dopo un attimo di riluttanza, "non lo so".
Hold on a second - Il "ciao" non è poi una sorpresa ma questo "non lo so", peraltro pronunciato così accuratamente, da dove sbuca?
"Me l'ha insegnato una volta un italiano".
E si zittisce.
Strano, penso, e strana questa sensazione di cosa lasciata lì a metà.
"Non lo so", prende allora a ripetere un paio di volte, scandendo bene le sillabe e pronunciandole a dovere.
"In realtà anche in shanghainese esiste 'non lo so'".
Allora lì comincio a destarmi dalla mia noia: "Non lo so?! E cosa vuol dire?"
"In shanghainese non ha un bel significato. Indica una persona che vuole troppo fare l'amore".
Excuse me?!
Ora capisco quella riluttanza e quel certo silenzio iniziale.
E questa scoperta etno-linguistica dà il la alla conversazione più insolita, certamente irriverente ma indubbiamente divertente, che mi sia mai capitato di fare con un cinese. Mi scuso per il tono e il contenuto letteralmente extra-ordinary di questo post ma è stata una conversazione memorabile, non fosse altro che sul piano antropologico e sociologico.
Comincio a indagare sull'uso dell'espressione, e scopro che ha addirittura un peggiorativo, nient'altri che ... "lo so"! In shanghainese, dare a qualcuno del "lo so" sarebbe di gran lunga più pesante che definirlo un "non lo so", e i termini possono essere usati nei confronti sia di un uomo che di una donna.
"Perchè" - si chiarisce - "ci sono anche donne che vogliono troppo fare l'amore". Prendi quelle che qui si trovano in taluni "centri massaggi" o nel retrobottega di certi parrucchieri, mi dice. "E' così anche da voi?"
Mah, da noi non è proprio così, comincio a spiegargli, ma più che raccontargli di come vanno le cose chez nous mi interessa carpire da lui un pò più di questi insoliti dettagli.
E allora le domande le torno a fare io.
Comincia a raccontarmi dei gigolò che bazzicano in certi bar di Shanghai.
"Costano più delle donne", ci tiene a sottolineare più volte.
"Quanto?"
"Sono cari, 500 rmb (circa 60 euro) per farti compagnia un'ora e 2,000 rmb (circa 230 euro) per accompagnarti a fare l'amore", traducendo letteralmente.
Gli chiedo se siano shanghainesi, lui nega subito, rincalzo e scopro che sono i famosi waidi del dongbei, ovvero i cinesi della parte nordorientale della Cina, solitamente più grandi e alti dei connazionali del Sud. "Essendo più grandi, hanno tutto più grande" precisa, e aggiunge (chiedendomi conferma ) che "alle donne piacciono più grandi, ecco perchè sono loro, e noi no."
Tutto questo, per inciso, senza malizia alcuna, piuttosto con un distacco quasi scientifico, tipico della disinvoltura oggettiva con cui i cinesi riescono a parlare pressochè di tutto e di fatto con dei perfetti sconosciuti.
Sospira.
"Ah, gli europei sono molto lìhài".
Lìhài ha una cascata di significati, qui sostanzialmente ruotano attorno al concetto di 'formidabile'.
"Lo so perchè li ho visti, li ho visti tutti io."
"Scusa li hai visti dove?!"
In tv, tutti e tutte li ha visti. "Tu non li hai visti?"
"No, io non lo ho visti".
Così, sempre come se stessimo parlando delle previsioni meteo.
"Ah, sì, gli europei sono davvero lìhài ", il poveretto non si dà pace. "E per te chi sono i più lìhài ?", mi chiede, ma io sposto intenzionalmente il mirino su un altro continente. Dopo aver "catalogato" cinesi e europei, che mi dice degli africani, di cui ho sempre e solo sentito parlar in termini non proprio elogiativi dai cinesi?
"Ah", e qui sembra aver un'improvvisa epifania, "ah gli africani sono assolutamente i più lìhài!".
And the winner is...
(Prima volta che sento un cinese non solo parlare bene ma persino invidiare un africano!)
E qui la conversazione raggiunge l'apice dell'ilarità: "Loro si che sono lìhài. Prendi il Presidente americano".
Penso di non aver capito bene.
Lui si interrompe un attimo.
"Sì, quello degli Stati Uniti."
"Ma chi, Obama?" per esser sicura di essere davvero sulla stessa lunghezza d'onda.
"Ecco, sì, Obama, lui dev'essere di sicuro molto lìhài! Cavolo se è lìhài lui."
Haha, forget about all the big talks about the US and China!
E il poverino prende a rivangare tutte quese considerazioni, mortificato dal peso dei confronti. Allora per cercare di consolarlo gli chiedo chi siano i "meno lìhài" in Asia.
"Ah", sconfortato, "in Asia siamo tutti scarsi."
Telegrafico e amareggiato.
Ma no, dai, dev'esserci qualcuno che proprio sta al fondo. (Lo pungolo apposta perchè immagino di sentirmi dire le solite "maldicenze" cinesi sui giapponesi).
Niente, per gli asiatici non c'è riscossa, per lui rimangono tutti in serie B.
Ma come, un continente così grande, non puoi mettere tutti sullo stesso calderone.
Vabbeh, se proprio insisto, a pensarci in effetti i vietnamiti e i filippini se la passano proprio male. Strano, penso, com'è che non coglie la palla al balzo per sparlare dei giapponesi?
"E i giapponesi?"
"Ah" - risponde come gli avessi chiesto l'ovvietà delle ovvietà - "i konnichiwa chiaro che no. E neanche i coreani."
There you go.
Ma non facciamo morire la conversazione. Anzi, oramai che abbiamo trattato tutte le relazioni strategiche dei cinesi (l'"uomo bianco", gli africani, gli storici nemici nipponici), il capitolo CIndia è d'obbligo.
"E gli indiani?"
Si risveglia.
E quasi pare ringraziarmi per la domanda.
Ancora una volta un commento inconsueto.
Di solito i cinesi non ricamano troppo attorno agli indiani, "che hanno una pelle con un odore" e cose di questo genere. Invece in quest'ambito sembra essere orgoglioso che vengano dal suo stesso continente.
Il popolo del riscatto asiatico, stando a lui.
"Loro sono lìhài! Gli hai visto il naso?"
Ora, i cinesi vivono con il complesso di "non avere il naso". Uno dei tratti che più invidiano a noi occidentali è proprio una delle caratteristiche di cui spesso noi invece ci lamentiamo. Il canone della bellezza asiatica non coincide affatto con il nostro e così ti trovi spesso a sentirti fare complimenti che in Occidente non avrebbero alcun senso. "Che fortunata che sei" - mi disse una volta una cinese - "tu che puoi appoggiare gli occhiali sul naso!"
"Loro hanno un naso grosso" - tornando a noi mi dice il nostro. "Perchè sai, no, che le dimensioni del naso sono indicative delle dimensioni del coso?"
E voilà.
Oramai ero arrivata a casa, la noia della giornata se n'era decisamente andata e nel frattempo avevo deciso di andare a cenare fuori (forget about cooking. plus, cooking what?). Interrompo la conversazione, gli dò le nuove indicazioni stradali, lui registra senza però voler chiudere l'argomento. Ribadisce e prende atto della "pochezza" cinese ma non per questo si sente privo di virilità. "Quando una mi piace, io pago e me la prendo. Beh da voi è molto suibian no?". (Ovvero, fate come vi pare, no?)
Faccio per spiegargli che tecnicamente, da noi, una volta sposato in teoria non vai a donnine.
Ma arriviamo al ristorante e lui non vuol perdersi la battuta finale. Lascia perdere cosa si fa e cosa non si fa da sposati e invece mi chiede: "Quanti anni mi dai?"
Solita domanda da un milione di dollari.
Solito cinese che potrebbe averne 18 come 45.
Faccio una velocissima considerazione di probabilità statistica e azzardo un 40.
"Brava, quasi. Ne ho 42" (in compenso lui a me ne da 22) "e io sono ancora lìhài. Anzi, per il nostro standard io sono molto lìhài. Ho la fama di uno molto lìhài."
Bene, contenta per te. Ora fammi scendere che mi chiude il ristorante.
Mi da il resto e si dilunga sulle sue doti, dettagli di cui avrei volentieri fatto anche a meno.
In compenso sembra essersi tirato un pò su d'umore rispetto a quando l'ho beccato, una mezz'ora prima, in un angolo fatiscente di Shanghai.



Ecco, questo uno di quegli impagabili episodi di genuina, incontaminata, vita cinese per cui i cinesi ti viene da abbracciarli, per cui ti commuove quasi la loro ingenua, spontanea, franchezza umana.
Episodi in cui ti dimentichi tutto d'un tratto di tutte le incavolature del resto del giorno e in cui non ha senso chiedersi: "che ci faccio qui?".