Il mosaico della donna in Nepal
Di recente ho avuto modo di vivere dieci giorni presso una famiglia nepalese poco distante da Kathmandu. Una famiglia se non altolocata indubbiamente benestante. Al suo interno, quattro generazioni di persone. E, con loro, quattro profili di donne, ognuna di loro un microcosmo distinto per età, condizione sociale, grado di educazione, consapevolezza personale e, non da ultimo, casta (anche se la si vorrebbe chiamare altrimenti).
La più anziana, la nonna della famiglia, ha superato già da un pò l’ottantina, e vive in casa accudita e rispettata da tutti. Continua ad indossare il sari ma passa gran parte della giornata davanti alla televisione, non so fino a che punto seguendo quello che trasmette.
A seguire, la mamma di casa, una piacevole signora sulla cinquantina che parla un pò di inglese. O quantomeno mi capisce quando io lo parlo. Moglie del primogenito della “nonna”, è l'indiscussa padrona di casa. Indossa rigorosamente sari rossi e bracciali dorati, coordina le attività di casa, compie i riti, si reca ai luoghi di culto. Si è sposata a circa quindici anni in forza di un matrimonio combinato. Il marito, consulente di successo, ha un ufficio a Kathmandu, dove vive durante la settimana. E dove ha una seconda moglie ed una seconda famiglia, di cui la prima è perfettamente a conoscenza (tanto da avere foto scattate assieme).
C’è poi la giovane nuora, una ragazza di circa venticinque anni, moglie del figlio più grande. Proviene da una cittadina rurale a mezza giornata di viaggio dalla residenza del marito, si è sposata anche lei con un matrimonio combinato tra, guarda caso, membri della stessa casta (ops, passatemi il termine ufficialmente anacronistico). Lei l’università l’aveva cominciata ma poi, una volta sposatasi e messo al mondo il primo figlio, l’ha abbandonata. E con lei ha interrotto lo studio del suo stentato inglese. La incoraggio a riprendere gli studi ora che il bimbo va all’asilo ma lei mi guarda con aria stupita e interrogativa, a farmi capire come non faccia nessuna differenza per lei, oramai, crearsi una sua carriera. Perché il percorso del suo futuro è già stato delineato. Da qualcun altro per lei.
La più giovane della famiglia: la “domestica” di casa. Una ragazzina di 16 anni che proviene da una zona (e casta) povera del Paese e che vive a tempo pieno presso questa famiglia “misericordiosa” che, assumendola, dice di averle dato una opportunità per il suo futuro. Se questo sia un tipo di futuro migliore, non se non ancora convinta. E’ quasi ancora bambina, vive sradicata e lontana dalla sua famiglia, ha abbandonato gli studi, compie tutti i lavori di casa, servendo e riverendo qualsiasi inquilino, anche il bimbo capriccioso di tre anni. Ogni giorno è la prima ad alzarsi (alle cinque) e l’ultima a coricarsi. È sempre l’ultima a mangiare, dopo che tutti gli altri hanno già consumato il loro pasto e dopo che lei ha sparecchiato; solo allora le è concesso sedersi a terra, davanti ai fornelli, al buio, a mangiare la sua di razione quotidiana di cibo.
Lei di inglese non conosce proprio nulla. Ma non mi stacca gli occhi di dosso, sempre sorridente, stupita e quasi ammirata in mia presenza. In presenza di questo strano figuro femminile in cui non si era mai imbattuta prima: una ragazza indipendente che gira il mondo, parla inglese e “ancora” non è sposata. E non per questo è esclusa dalla società.
[Articolo originariamente composto nel maggio 2007]