Filippine: resi noti i primi risultati delle indagini sugli omicidi extragiudiziali
Questa volta sarà difficile per Gloria Arroyo, Presidente della Repubblica delle Filippine, rimanere inerte dinanzi al problema degli omicidi extragiudiziali. Nelle scorse settimane sono stati resi noti i primi risultati delle indagini della Commissione Melo e dell’inchiesta Altson, la prima istituita ad hoc dalla Presidentessa, la seconda su iniziativa dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani.
Alla base di entrambe le inchieste è il numero crescente di omicidi extragiudiziali in corso dagli inizi della presidenza Arroyo nel 2001. Secondo le associazioni di diritti umani, le vittime ammontano a più di 830, in buona parte politici di sinistra, giornalisti e radiocronisti della stampa di provincia. Benché la polizia continui a riconoscere non più di 117 omicidi, il fenomeno ha assunto una portata tale da tramutarsi in un autentico scandalo su cui la comunità internazionale sta puntando lo sguardo: per capire chi ne sia davvero responsabile, per vedere che misure verranno adottate questa volta, per fare luce su un fenomeno che sta progressivamente avvicinandosi a quanto avvenuto durante la dittatura di Marcos. Nel suo ventennio di dittatura (1965-1986), infatti, furono documentati circa 3,000 omicidi, una stima proporzionalmente non molto distante dal tasso che può “vantare” il regime democratico di Gloria. Preoccupa, poi, l’escalation del fenomeno stesso, col 2006 che passerà alla storia come l’anno più sanguinoso del governo Arroyo: 185 persone sono state uccise senza processo, né provvedimento alcuno contro mandanti ed esecutori.
“Responsabilità di Stato”: Una delle ragioni che alimentano l’indignazione della popolazione locale, nonché della comunità internazionale, infatti, è la cosiddetta “cultura dell’impunità” che aleggia nel Paese. La Commissione Melo precisa, però, che “la Presidentessa Arroyo può essere ritenuta responsabile, secondo il diritto internazionale, se la questione degli omicidi politici rimane irrisolta” poiché “se lo Stato non indaga e non persegue giuridicamente la violazione delle libertà fondamentali, di fatto aiuta quanti compiono tali violazioni e quindi può essere considerato colpevole delle stesse, in forza del diritto internazionale”.
Ad aggravare lo scandalo e a mettere maggiormente in difficoltà l’attuale governo è stata poi la dichiarazione Melo secondo cui “i militari sono responsabili della maggioranza degli omicidi”. L’esercito, dunque, e le forze di polizia, due tra i pilastri su cui poggia il governo Arroyo. Le inchieste hanno indicato nomi di grosso calibro tra i colpevoli, primo fra tutti il Generale Jovencito Palparan, che Gloria stessa aveva elogiato l’estate scorsa per i risultati conseguiti nella lotta contro la guerriglia comunista.
L’esercito, colpevole, smentisce: Al di là della gravità dell’accusa, preoccupa il fatto che l’esercito continui a negare l’esistenza del fenomeno, accusi le due commissioni e ostacoli così nuovamente il corso della giustizia. Il Capo delle Forze Armate, Gen. Hermogenes Esperon, ha dichiarato che il primo ad avere negato i fatti è proprio l’inviato speciale Altson, (poiché rifiuta di riconoscere la responsabilità dei guerriglieri comunisti). Inoltre, ha aggiunto che il Gen. Palparan, attualmente in pensione, non può essere considerato colpevole poiché il suo mandato è terminato. Dal canto suo, il Segretario della Giustizia, Raul Gonzalez, ha accusato Altson di essersi fatto condizionare dai ribelli di sinistra, riecheggiando così un ritornello caro ad Esperon, secondo cui quella in corso non è altro che una “guerra di propaganda”.
Superato l’imbarazzo iniziale, la Arroyo ha stanziato altri 25 milioni di pesos (circa 390 mila euro) per consentire la continuazione delle indagini sulla violazione dei diritti umani. Da un lato, una mossa in avanti significativa, considerato l’atteggiamento protettivo con cui la Presidentessa soleva screditare le accuse rivolte all’esercito. D’altra parte, però, “il corpo del reato è talmente evidente ora da non poter più essere ignorato”, come dichiara Amnesty International.
Perché la stampa locale? Almeno 49 tra le vittime degli omicidi sono giornalisti, attivi a livello locale e provinciale. Un quarto di questi, freelance non affiliati a nessuna agenzia di stampa. Un terzo lavora alla radio.
Un quadro peculiare, che oltre a rendere le Filippine il secondo Paese asiatico (dopo l’Afghanistan) più pericoloso per i giornalisti, dimostra la sussistenza a livello locale di un sistema di potere di stampo feudale. Nelle povere realtà di provincia di quest’immenso arcipelago, la radio (e la stampa in genere) rappresenta, di fatto, un’alternativa ai tribunali e una risposta alla fragilità dello Stato di Diritto.
La stampa, denunciando soprusi, violazioni ed episodi di corruzione, va a ledere la “maestà” dei signori locali e, così facendo, ne diventa il primo bersaglio.
[ Articolo originariamente redatto nel febbario 2007]
Alla base di entrambe le inchieste è il numero crescente di omicidi extragiudiziali in corso dagli inizi della presidenza Arroyo nel 2001. Secondo le associazioni di diritti umani, le vittime ammontano a più di 830, in buona parte politici di sinistra, giornalisti e radiocronisti della stampa di provincia. Benché la polizia continui a riconoscere non più di 117 omicidi, il fenomeno ha assunto una portata tale da tramutarsi in un autentico scandalo su cui la comunità internazionale sta puntando lo sguardo: per capire chi ne sia davvero responsabile, per vedere che misure verranno adottate questa volta, per fare luce su un fenomeno che sta progressivamente avvicinandosi a quanto avvenuto durante la dittatura di Marcos. Nel suo ventennio di dittatura (1965-1986), infatti, furono documentati circa 3,000 omicidi, una stima proporzionalmente non molto distante dal tasso che può “vantare” il regime democratico di Gloria. Preoccupa, poi, l’escalation del fenomeno stesso, col 2006 che passerà alla storia come l’anno più sanguinoso del governo Arroyo: 185 persone sono state uccise senza processo, né provvedimento alcuno contro mandanti ed esecutori.
“Responsabilità di Stato”: Una delle ragioni che alimentano l’indignazione della popolazione locale, nonché della comunità internazionale, infatti, è la cosiddetta “cultura dell’impunità” che aleggia nel Paese. La Commissione Melo precisa, però, che “la Presidentessa Arroyo può essere ritenuta responsabile, secondo il diritto internazionale, se la questione degli omicidi politici rimane irrisolta” poiché “se lo Stato non indaga e non persegue giuridicamente la violazione delle libertà fondamentali, di fatto aiuta quanti compiono tali violazioni e quindi può essere considerato colpevole delle stesse, in forza del diritto internazionale”.
Ad aggravare lo scandalo e a mettere maggiormente in difficoltà l’attuale governo è stata poi la dichiarazione Melo secondo cui “i militari sono responsabili della maggioranza degli omicidi”. L’esercito, dunque, e le forze di polizia, due tra i pilastri su cui poggia il governo Arroyo. Le inchieste hanno indicato nomi di grosso calibro tra i colpevoli, primo fra tutti il Generale Jovencito Palparan, che Gloria stessa aveva elogiato l’estate scorsa per i risultati conseguiti nella lotta contro la guerriglia comunista.
L’esercito, colpevole, smentisce: Al di là della gravità dell’accusa, preoccupa il fatto che l’esercito continui a negare l’esistenza del fenomeno, accusi le due commissioni e ostacoli così nuovamente il corso della giustizia. Il Capo delle Forze Armate, Gen. Hermogenes Esperon, ha dichiarato che il primo ad avere negato i fatti è proprio l’inviato speciale Altson, (poiché rifiuta di riconoscere la responsabilità dei guerriglieri comunisti). Inoltre, ha aggiunto che il Gen. Palparan, attualmente in pensione, non può essere considerato colpevole poiché il suo mandato è terminato. Dal canto suo, il Segretario della Giustizia, Raul Gonzalez, ha accusato Altson di essersi fatto condizionare dai ribelli di sinistra, riecheggiando così un ritornello caro ad Esperon, secondo cui quella in corso non è altro che una “guerra di propaganda”.
Superato l’imbarazzo iniziale, la Arroyo ha stanziato altri 25 milioni di pesos (circa 390 mila euro) per consentire la continuazione delle indagini sulla violazione dei diritti umani. Da un lato, una mossa in avanti significativa, considerato l’atteggiamento protettivo con cui la Presidentessa soleva screditare le accuse rivolte all’esercito. D’altra parte, però, “il corpo del reato è talmente evidente ora da non poter più essere ignorato”, come dichiara Amnesty International.
Perché la stampa locale? Almeno 49 tra le vittime degli omicidi sono giornalisti, attivi a livello locale e provinciale. Un quarto di questi, freelance non affiliati a nessuna agenzia di stampa. Un terzo lavora alla radio.
Un quadro peculiare, che oltre a rendere le Filippine il secondo Paese asiatico (dopo l’Afghanistan) più pericoloso per i giornalisti, dimostra la sussistenza a livello locale di un sistema di potere di stampo feudale. Nelle povere realtà di provincia di quest’immenso arcipelago, la radio (e la stampa in genere) rappresenta, di fatto, un’alternativa ai tribunali e una risposta alla fragilità dello Stato di Diritto.
La stampa, denunciando soprusi, violazioni ed episodi di corruzione, va a ledere la “maestà” dei signori locali e, così facendo, ne diventa il primo bersaglio.
[ Articolo originariamente redatto nel febbario 2007]