Corea del Nord: l’intrigo della successione*
Secondo fonti di informazione sudcoreana, a metà dicembre Kim Jong Il avrebbe bandito dal Paese qualsiasi discussione in materia di successione dinastica. La notizia, poi smentita dai servizi nordcoreani, tocca uno degli argomenti caldi dell’arena politica del piccolo Regno Eremita, a pochi mesi di distanza dal sessantaquattresimo compleanno del Caro Leader. Mentre il padre e illustre predecessore, Kim Il Song, aveva già designato il suo successore al raggiungimento dei 62 anni, nessuna comunicazione ufficiale invece è stata fatta ad oggi circa chi sarà destinato a prendere le redini di uno degli ultimi baluardi comunisti al mondo.
L’unica dinastia comunista al mondo
Vi sono diverse ragioni che darebbero credito all’ipotesi del prosieguo di una successione interna alla storica famiglia di reggenti nordcoreani. La stessa radio nordcoreana avrebbe ripetutamente trasmesso le parole del leader fondatore, Kim Il Song che, parlando alla moglie nel 1943, si sarebbe augurato l’istituzione di una successione dinastica familiare.
La notizia, comunicata via radio a inizio 2005 e ripresa poi dallo stesso Kim Jong Il, potrebbe essere semplicemente una trovata propagandistica, tesa ad alimentare l’immagine e il culto dell’attuale presidente. Ciò malgrado, l’ipotesi della perpetuazione della dinastia comunista nordcoreana sembra non essere poi così infondata.
Innanzi tutto, se il successore di Kim Jong Il dovesse essere un elemento esterno alla famiglia, sarebbe estremamente tentato dalle allettanti proposte mediatrici della Corea del Sud e non solo. La tenacia nel salvaguardare a tutti i costi il fatiscente regime attuale potrebbe essere molto più tenue presso leader esterni al nucleo dinastico attuale.
In secondo luogo, vista la situazione socio-economica in cui versa attualmente il regime nordcoreano, è indispensabile che il prossimo presidente goda di un’indiscussa legittimità, tale da giustificare la sua presenza e soprattutto la sussistenza di un sistema politico ed economico che sembra voler sfidare l’evoluzione della storia. Alla luce dell’attuale situazione interna nordcoreana, infatti, è chiaro che il “sostegno di massa” ad un regime di questo stampo si fonderebbe eclusivamente sul culto della dinastia e non certo sui suoi conseguimenti politici o sociali.
In terzo luogo, l’attuale intellighentsia nordcoreana è ben memore di quanto è successo a grandi leader comunisti stranieri che, alla loro morte, sono stati criticati, incriminati e “desantificati”, causando così lotte intestine nei rispettivi comitati politici. L’unico sistema per evitare una frattura del genere, potenzialmente fatale per il precario regime di Pyongyang, è proprio nel far sì che la successione sia garantita ad un elemento della famiglia, sufficientemente stretto da assicurare che non vi saranno episodi di diffamazioni e rinnegamenti nei confronti del predecessore.
Quale erede?
Se ad oggi l’ipotesi della successione dinastica sembra la più probabile, non è però altrettanto semplice individuare chi potrebbe essere il potenziale successore del Caro Leader.
Il mistero si infittisce anche per la mancanza di chiarezza circa l’effettiva condizione familiare di Kim Il Jong. L’immagine più corretta attribuirebbe all’attuale presidente tre figli, due figlie, avuti da almeno tre diverse mogli.
La prima figlia del presidente nacque nel 1967 da una relazione con Hong Il-chon. Il primo figlio, Kim Jong Nam nacque nel 1971 dall’unione con l’attrice Song Hye Rim. Dopo l’incidente del 2001, in cui venne sorpreso con moglie e figlio all’aeroporto di Tokyo con un passaporto falso, il primogenito sembrerebbe escluso dalla corsa dinastica per aver gettato vergogna nella famiglia e, di converso, nel regime. Inoltre, la madre non fu mai completamente accettata dal suocero, Kim Il Sung, fatto, questo, che le provocò disturbi nervosi che la portarono a vivere per lunghi periodi a Mosca, dove morì nel 2002. Lo stesso figlio ha trascorso buona parte della sua vita all’estero, e pare attualmente risieda in Cina. Inoltre la madre ed alcuni parenti avrebbero steso delle “scomode” memorie sul regime, altro elemento che scoraggia la candidatura di Kim Jong Nam, peraltro oggetto di un tentato assassinio nel Novembre 2004.
Kim Jong Il avrebbe poi sposato, nel 1975, una dattilografa, dalla quale però ebbe esclusivamente un’erede femmina.
Gli altri due figli maschi, Kim Jong-Chol (nato nel 1981) e Kim Jong-Woon (nato nel 1983), sono invece frutto dell’unione (forse addirittura del matrimonio) con la ballerina Koh Young Hui, di origini giapponesi. Essa fu legata al presidente per 25 anni e morì di tumore al seno, nel 2002, in Russia. Grande sostenitrice della successione a favore di uno dei suoi due figli, venne per molto tempo “venerata” nel Paese quale esempio di madre modello e suddito leale del Caro Leader. Questa sorta di culto della sua personalità è un’altro degli elementi che darebbero vantaggio a uno dei suoi due figli rispetto a Kim Jong Nam, da alcuni addirittura considerato figlio illeggittimo, non essendo nato da una relazione matrimoniale.
Attualmente, i figli minori devono fare i conti non solo con la scomparsa della madre, principale pilastro della lobby politica a loro favore, ma anche del recente ordine, apparentemente promulgato da Kim Jong Il stesso, di fermare la campagna di “glorificazione” della donna.
Secondo la tradizione nordcoreana, alle figlie non è consentito competere per la successione al potere, quindi la scelta è limitata di fatto a due soggetti, essendo pressochè esclusa la scelta di Kim Jong Nam.
Stando a quanto riportato da Der Spiegel, Hu Jintao, durante la sua prima visita di stato in Corea del Nord, nell’ottobre scorso, avrebbe avuto modo di incontrare Kim Jong-Chol, il quale forse aveva già incontrato il premier cinese nel 2003. Dato l’attuale sostegno che Pyongyang riceve da Pechino, una presentazione, per quanto in via non ufficiale, del possibile candidato è sufficientemente indicativa delle potenzialità di tale erede. Allo stesso tempo, però, il cuoco di sushi del Caro Leader ha riferito che il secondogenito sarebbe escluso dalla corsa al presidium per la sua natura “effemminata” (come lo stesso Kim Jong Il avrebbe definito il figlio). A questo punto, la sorte giocherebbe a favore del terzogenito, Kim Jong-Woon, il cui unico limite è la giovine età.
Potenziali somiglianze tra i due eredi
Guardando alla precedente successione dinastica in Pyongyang e a segnali recenti emergono alcuni elementi che parebbero sostenere la candidatura del secondogenito, Kim Jong-Chol.
All’inizio del 2002, la madre Koh Young Hui fu oggetto di una campagna di “venerazione” pubblica che ricorda molto il culto della personalità della moglie di Kim Sung Il, madre di Kim Jong Il. La somiglianza è importante perchè inserisce il figlio nella stessa corrente di politica ideologica che venne adottata in occasione dell’attuale leader e diventa un tassello fondamentale nella ricerca di legittimità a favore del nuovo erede.
Nei primi mesi del 2005, invece, pare sia stata attuata una campagna di educazione politica, tesa a promuovere l’immagine di Kim Jong-Chol come prossimo presidente del Regno Eremita. Ritratti del secondogenito sarebbero stati affissi nell’edificio del Comitato centrale del Partito dei Lavoratori Coreani, presieduto da Kim Jong Il stesso.
Secondo fonti sudcoreane, poi, Kim Jong-Chol sarebbe già entrato in scena nel Febbraio 2004, quando, sotto il nome di Pak Se-bong, partecipò agli affari di stato per venire poi designato, due mesi più tardi, Direttore del dipartimento di Propaganda del Partito. Casualmente, ma non troppo, Kim Jong Il rivestì la stessa carica nel 1979, dopo aver anche egli svolto funzioni politiche con un nome-de-plume.
Infine, fonti diplomatiche pechinesi con forti collegamenti a Pyongyang riferiscono dell’istituzione, presso il Partito dei Lavoratori Coreani, di un dipartimento speciale, incaricato di prepare la successione di Kim Jong-Chol. Già nel 2004 parrebbe che siano stati fondati due uffici, sotto la supervisione della Commissione Nazionale di Difesa, per promuovere l’ascesa del secondogenito e formarlo alle pratiche di governo e partito. La preparazione, dunque, sarebbe già avviata, all’interno delle maglie stesse del tessuto istituzionale del regime, assicurando, con ciò, una solida base di legittimazione interna.
Perchè questo ritardo nella designazione?
Le speculazioni continuano, dunque, circa chi sarà destinato a manovrare il timone del piccolo regno eremita. Se, da un lato, alcune somiglianze storiche e un presunto incontro con Hu Jintao stesso farebbero propendere a favore del secondogenito, di recente crescono le analisi, soprattutto di matrice sudcoreana, che vedono nel “masculino” Kim Jong-Woon, definito “Re, Stella del Mattino”, l’attuale favorito di Kim Jong Il.
Data la scarsità di informazioni a disposizione e la loro non totale attendibilità, non è possibile sbilanciarsi troppo a favore di una posizione in particolare. Ciò che è comunque interessante da valutare è perchè il mistero sulla successione rimanga ancora così denso e cupo. Se è vero che Kim Jong Il venne designato erede a 32 anni, mentre gli attuali potenziali eredi sono ancora ventenni, non va dimenticato che fu un sessantaduenne Kim Song Il ad annunciare la nomina del successore. Non solo l’attuale Presidente ha già superato quell’età, ma soprattutto le sue condizioni di salute non sono ottime.
Probabilmente il Leader odierno non ritiene la situazione attuale del suo regime sufficientemente solida e sicura da potersi permettere di affidarne le redini ad un successore. Oppure, la scelta stessa di non voler annunciare un candidato potrebbe essere una strategia promozionale, tesa a dimostrare che egli stesso ha ancora il pieno controllo della situazione e non ha ragione di dover preoccuparsi di una sua uscita di scena.
Certo è che la comunità internazionale continua ad interrogarsi sul futuro, non molto lontano, di questa nicchia politica. La Cina, in particolar modo, è intenzionata a salvare ad ogni costo questo stato cuscinetto che la divide dalle truppe americane di stanza in Corea del Sud. E, per evitare un collasso di enormi conseguenze socio-economiche anche per il proprio Paese, Pechino è disposta a grandi concessioni e a significative manovre, come ha già dimostrato negli sviluppi dei negoziati a sei. Esattamente per la stessa ragione, non è affatto escluso che la Cina stia già lavorando ad una successione nord-coreana filocinese, “proponendo” addirittura un proprio candidato.
L’appoggio dell’esercito
Chiunque sia il figlio, il tecnocrate o il militare destinato a succedere a Kim Jong Il, un tassello è inevitabile: l’esercito deve aver dato il suo placet.
Con la sua compagine di 1.1 milioni di adepti, l’esercito nordcoreano è l’unica istituzione che potrebbe costituire un’effettiva minaccia nei confronti del regime comunista. I militari sono la fonte principale di stabilità e ordine pubblico e non a caso il loro peso è cresciuto notevolmente durante la presidenza di Kim Jong Il. Designato dal padre, nel 1991, come comandante supremo delle forze armate, l’attuale leader si è industriato abilmente per liberarsi dei veterani militari che gli erano ostili, circondarsi di elementi amici e, in tutto questo, consolidare il suo controllo sull’esercito, compito che svolge dalla sua funzione di presidente della Commissione Nazionale di Difesa.
A garantire la compattezza dell’apparato militare, Kim Jong Il ha inserito elementi familiari in posizioni chiave dei vertici militari. Il cognato Jang Song-taek, ad esempio, ricopre la carica di vice direttore del dipartimento di organizzazione e di guida del Partito Coreano dei Lavoratori. Il fratello maggiore dello stesso Jang è vice maresciallo e comanda la Terza Armata che circonda la capitale. Il secondo fratello di Jang, invece, è il vice direttore della Scuola Superiore del Partito. Anche gli altri due fratelli sono inseriti nei gangli della struttura militare.
Da un lato, quindi, l’esercito è anch’esso strettamente connesso all’ambiente familiare di Kim Jong Il, dall’altro, i militari in senso lato hanno ampiamente beneficiato della “Army First Policy”. Questa formula politica ha consentito all’esercito di mantenere un ferreo controllo della politica interna, e parallelamente di inserirsi in opportunità commerciali, sorte con le timide misure di liberalizzazione economica e ricavate dalla gestione degli aiuti esteri. L’esercito, dunque, è tra i primi a voler garantire una successione politica sicura e, ancora una volta, fruttuosa.
Il chiaroscuro
Il presunto, recente divieto di disquisire di successione politica in Corea del Nord, benchè abbia già avuto dei precedenti, ha fatto pendant con i festeggiamenti, decisamente sotto tono, del sessantesimo anniversario della fondazione del Partito. Questi due elementi hanno contribuito a riaccendere il dibattito su un interrogativo di non secondaria importanza: che ne sarà della Corea del Nord dopo Kim Jong Il?
Kim Jong Il ha già superato l’età a cui il padre lo aveva ufficialmente designato erede politico. Non gode di ottima salute e progressivamente va perdendo gli anziani compagni politici e militari che lo sostengono e che garantiscono la sopravvivenza del suo regime.
La situazione economica attuale è peggiore di quella che il presidente trovò una volta salito al potere. Le pressioni internazionali sono forti perchè il Paese cambi rotta, e i figli del presidente, educati in Svizzera, sono noti per la loro marcata occidentalizzazione.
Inoltre, la vita privata dell’attuale presidente è ben diversa da quella del padre. Se questi poteva vantarsi pubblicamente per la sua vita familiare modello e tradurla in un’ulteriore fattore di legittimità interna e culto ideologico, difficilmente si può dire lo stesso per Kim Jong Il.
Un successore non è stato ancora designato e le luci dei riflettori sembrano costantemente puntate su candidati diversi. Per ora, si tratta di candidati appartenenti alla “famiglia reale”. Ma non è escluso che un tecnocrate o un militare, forte del sostegno vitale dell’esercito, possa improvvisamente irrompere sulla scena. Scenario, questo, che potrebbe essere rischioso per l’incolumità sia del regime che del suo attuale presidente.
L’unica dinastia comunista al mondo
Vi sono diverse ragioni che darebbero credito all’ipotesi del prosieguo di una successione interna alla storica famiglia di reggenti nordcoreani. La stessa radio nordcoreana avrebbe ripetutamente trasmesso le parole del leader fondatore, Kim Il Song che, parlando alla moglie nel 1943, si sarebbe augurato l’istituzione di una successione dinastica familiare.
La notizia, comunicata via radio a inizio 2005 e ripresa poi dallo stesso Kim Jong Il, potrebbe essere semplicemente una trovata propagandistica, tesa ad alimentare l’immagine e il culto dell’attuale presidente. Ciò malgrado, l’ipotesi della perpetuazione della dinastia comunista nordcoreana sembra non essere poi così infondata.
Innanzi tutto, se il successore di Kim Jong Il dovesse essere un elemento esterno alla famiglia, sarebbe estremamente tentato dalle allettanti proposte mediatrici della Corea del Sud e non solo. La tenacia nel salvaguardare a tutti i costi il fatiscente regime attuale potrebbe essere molto più tenue presso leader esterni al nucleo dinastico attuale.
In secondo luogo, vista la situazione socio-economica in cui versa attualmente il regime nordcoreano, è indispensabile che il prossimo presidente goda di un’indiscussa legittimità, tale da giustificare la sua presenza e soprattutto la sussistenza di un sistema politico ed economico che sembra voler sfidare l’evoluzione della storia. Alla luce dell’attuale situazione interna nordcoreana, infatti, è chiaro che il “sostegno di massa” ad un regime di questo stampo si fonderebbe eclusivamente sul culto della dinastia e non certo sui suoi conseguimenti politici o sociali.
In terzo luogo, l’attuale intellighentsia nordcoreana è ben memore di quanto è successo a grandi leader comunisti stranieri che, alla loro morte, sono stati criticati, incriminati e “desantificati”, causando così lotte intestine nei rispettivi comitati politici. L’unico sistema per evitare una frattura del genere, potenzialmente fatale per il precario regime di Pyongyang, è proprio nel far sì che la successione sia garantita ad un elemento della famiglia, sufficientemente stretto da assicurare che non vi saranno episodi di diffamazioni e rinnegamenti nei confronti del predecessore.
Quale erede?
Se ad oggi l’ipotesi della successione dinastica sembra la più probabile, non è però altrettanto semplice individuare chi potrebbe essere il potenziale successore del Caro Leader.
Il mistero si infittisce anche per la mancanza di chiarezza circa l’effettiva condizione familiare di Kim Il Jong. L’immagine più corretta attribuirebbe all’attuale presidente tre figli, due figlie, avuti da almeno tre diverse mogli.
La prima figlia del presidente nacque nel 1967 da una relazione con Hong Il-chon. Il primo figlio, Kim Jong Nam nacque nel 1971 dall’unione con l’attrice Song Hye Rim. Dopo l’incidente del 2001, in cui venne sorpreso con moglie e figlio all’aeroporto di Tokyo con un passaporto falso, il primogenito sembrerebbe escluso dalla corsa dinastica per aver gettato vergogna nella famiglia e, di converso, nel regime. Inoltre, la madre non fu mai completamente accettata dal suocero, Kim Il Sung, fatto, questo, che le provocò disturbi nervosi che la portarono a vivere per lunghi periodi a Mosca, dove morì nel 2002. Lo stesso figlio ha trascorso buona parte della sua vita all’estero, e pare attualmente risieda in Cina. Inoltre la madre ed alcuni parenti avrebbero steso delle “scomode” memorie sul regime, altro elemento che scoraggia la candidatura di Kim Jong Nam, peraltro oggetto di un tentato assassinio nel Novembre 2004.
Kim Jong Il avrebbe poi sposato, nel 1975, una dattilografa, dalla quale però ebbe esclusivamente un’erede femmina.
Gli altri due figli maschi, Kim Jong-Chol (nato nel 1981) e Kim Jong-Woon (nato nel 1983), sono invece frutto dell’unione (forse addirittura del matrimonio) con la ballerina Koh Young Hui, di origini giapponesi. Essa fu legata al presidente per 25 anni e morì di tumore al seno, nel 2002, in Russia. Grande sostenitrice della successione a favore di uno dei suoi due figli, venne per molto tempo “venerata” nel Paese quale esempio di madre modello e suddito leale del Caro Leader. Questa sorta di culto della sua personalità è un’altro degli elementi che darebbero vantaggio a uno dei suoi due figli rispetto a Kim Jong Nam, da alcuni addirittura considerato figlio illeggittimo, non essendo nato da una relazione matrimoniale.
Attualmente, i figli minori devono fare i conti non solo con la scomparsa della madre, principale pilastro della lobby politica a loro favore, ma anche del recente ordine, apparentemente promulgato da Kim Jong Il stesso, di fermare la campagna di “glorificazione” della donna.
Secondo la tradizione nordcoreana, alle figlie non è consentito competere per la successione al potere, quindi la scelta è limitata di fatto a due soggetti, essendo pressochè esclusa la scelta di Kim Jong Nam.
Stando a quanto riportato da Der Spiegel, Hu Jintao, durante la sua prima visita di stato in Corea del Nord, nell’ottobre scorso, avrebbe avuto modo di incontrare Kim Jong-Chol, il quale forse aveva già incontrato il premier cinese nel 2003. Dato l’attuale sostegno che Pyongyang riceve da Pechino, una presentazione, per quanto in via non ufficiale, del possibile candidato è sufficientemente indicativa delle potenzialità di tale erede. Allo stesso tempo, però, il cuoco di sushi del Caro Leader ha riferito che il secondogenito sarebbe escluso dalla corsa al presidium per la sua natura “effemminata” (come lo stesso Kim Jong Il avrebbe definito il figlio). A questo punto, la sorte giocherebbe a favore del terzogenito, Kim Jong-Woon, il cui unico limite è la giovine età.
Potenziali somiglianze tra i due eredi
Guardando alla precedente successione dinastica in Pyongyang e a segnali recenti emergono alcuni elementi che parebbero sostenere la candidatura del secondogenito, Kim Jong-Chol.
All’inizio del 2002, la madre Koh Young Hui fu oggetto di una campagna di “venerazione” pubblica che ricorda molto il culto della personalità della moglie di Kim Sung Il, madre di Kim Jong Il. La somiglianza è importante perchè inserisce il figlio nella stessa corrente di politica ideologica che venne adottata in occasione dell’attuale leader e diventa un tassello fondamentale nella ricerca di legittimità a favore del nuovo erede.
Nei primi mesi del 2005, invece, pare sia stata attuata una campagna di educazione politica, tesa a promuovere l’immagine di Kim Jong-Chol come prossimo presidente del Regno Eremita. Ritratti del secondogenito sarebbero stati affissi nell’edificio del Comitato centrale del Partito dei Lavoratori Coreani, presieduto da Kim Jong Il stesso.
Secondo fonti sudcoreane, poi, Kim Jong-Chol sarebbe già entrato in scena nel Febbraio 2004, quando, sotto il nome di Pak Se-bong, partecipò agli affari di stato per venire poi designato, due mesi più tardi, Direttore del dipartimento di Propaganda del Partito. Casualmente, ma non troppo, Kim Jong Il rivestì la stessa carica nel 1979, dopo aver anche egli svolto funzioni politiche con un nome-de-plume.
Infine, fonti diplomatiche pechinesi con forti collegamenti a Pyongyang riferiscono dell’istituzione, presso il Partito dei Lavoratori Coreani, di un dipartimento speciale, incaricato di prepare la successione di Kim Jong-Chol. Già nel 2004 parrebbe che siano stati fondati due uffici, sotto la supervisione della Commissione Nazionale di Difesa, per promuovere l’ascesa del secondogenito e formarlo alle pratiche di governo e partito. La preparazione, dunque, sarebbe già avviata, all’interno delle maglie stesse del tessuto istituzionale del regime, assicurando, con ciò, una solida base di legittimazione interna.
Perchè questo ritardo nella designazione?
Le speculazioni continuano, dunque, circa chi sarà destinato a manovrare il timone del piccolo regno eremita. Se, da un lato, alcune somiglianze storiche e un presunto incontro con Hu Jintao stesso farebbero propendere a favore del secondogenito, di recente crescono le analisi, soprattutto di matrice sudcoreana, che vedono nel “masculino” Kim Jong-Woon, definito “Re, Stella del Mattino”, l’attuale favorito di Kim Jong Il.
Data la scarsità di informazioni a disposizione e la loro non totale attendibilità, non è possibile sbilanciarsi troppo a favore di una posizione in particolare. Ciò che è comunque interessante da valutare è perchè il mistero sulla successione rimanga ancora così denso e cupo. Se è vero che Kim Jong Il venne designato erede a 32 anni, mentre gli attuali potenziali eredi sono ancora ventenni, non va dimenticato che fu un sessantaduenne Kim Song Il ad annunciare la nomina del successore. Non solo l’attuale Presidente ha già superato quell’età, ma soprattutto le sue condizioni di salute non sono ottime.
Probabilmente il Leader odierno non ritiene la situazione attuale del suo regime sufficientemente solida e sicura da potersi permettere di affidarne le redini ad un successore. Oppure, la scelta stessa di non voler annunciare un candidato potrebbe essere una strategia promozionale, tesa a dimostrare che egli stesso ha ancora il pieno controllo della situazione e non ha ragione di dover preoccuparsi di una sua uscita di scena.
Certo è che la comunità internazionale continua ad interrogarsi sul futuro, non molto lontano, di questa nicchia politica. La Cina, in particolar modo, è intenzionata a salvare ad ogni costo questo stato cuscinetto che la divide dalle truppe americane di stanza in Corea del Sud. E, per evitare un collasso di enormi conseguenze socio-economiche anche per il proprio Paese, Pechino è disposta a grandi concessioni e a significative manovre, come ha già dimostrato negli sviluppi dei negoziati a sei. Esattamente per la stessa ragione, non è affatto escluso che la Cina stia già lavorando ad una successione nord-coreana filocinese, “proponendo” addirittura un proprio candidato.
L’appoggio dell’esercito
Chiunque sia il figlio, il tecnocrate o il militare destinato a succedere a Kim Jong Il, un tassello è inevitabile: l’esercito deve aver dato il suo placet.
Con la sua compagine di 1.1 milioni di adepti, l’esercito nordcoreano è l’unica istituzione che potrebbe costituire un’effettiva minaccia nei confronti del regime comunista. I militari sono la fonte principale di stabilità e ordine pubblico e non a caso il loro peso è cresciuto notevolmente durante la presidenza di Kim Jong Il. Designato dal padre, nel 1991, come comandante supremo delle forze armate, l’attuale leader si è industriato abilmente per liberarsi dei veterani militari che gli erano ostili, circondarsi di elementi amici e, in tutto questo, consolidare il suo controllo sull’esercito, compito che svolge dalla sua funzione di presidente della Commissione Nazionale di Difesa.
A garantire la compattezza dell’apparato militare, Kim Jong Il ha inserito elementi familiari in posizioni chiave dei vertici militari. Il cognato Jang Song-taek, ad esempio, ricopre la carica di vice direttore del dipartimento di organizzazione e di guida del Partito Coreano dei Lavoratori. Il fratello maggiore dello stesso Jang è vice maresciallo e comanda la Terza Armata che circonda la capitale. Il secondo fratello di Jang, invece, è il vice direttore della Scuola Superiore del Partito. Anche gli altri due fratelli sono inseriti nei gangli della struttura militare.
Da un lato, quindi, l’esercito è anch’esso strettamente connesso all’ambiente familiare di Kim Jong Il, dall’altro, i militari in senso lato hanno ampiamente beneficiato della “Army First Policy”. Questa formula politica ha consentito all’esercito di mantenere un ferreo controllo della politica interna, e parallelamente di inserirsi in opportunità commerciali, sorte con le timide misure di liberalizzazione economica e ricavate dalla gestione degli aiuti esteri. L’esercito, dunque, è tra i primi a voler garantire una successione politica sicura e, ancora una volta, fruttuosa.
Il chiaroscuro
Il presunto, recente divieto di disquisire di successione politica in Corea del Nord, benchè abbia già avuto dei precedenti, ha fatto pendant con i festeggiamenti, decisamente sotto tono, del sessantesimo anniversario della fondazione del Partito. Questi due elementi hanno contribuito a riaccendere il dibattito su un interrogativo di non secondaria importanza: che ne sarà della Corea del Nord dopo Kim Jong Il?
Kim Jong Il ha già superato l’età a cui il padre lo aveva ufficialmente designato erede politico. Non gode di ottima salute e progressivamente va perdendo gli anziani compagni politici e militari che lo sostengono e che garantiscono la sopravvivenza del suo regime.
La situazione economica attuale è peggiore di quella che il presidente trovò una volta salito al potere. Le pressioni internazionali sono forti perchè il Paese cambi rotta, e i figli del presidente, educati in Svizzera, sono noti per la loro marcata occidentalizzazione.
Inoltre, la vita privata dell’attuale presidente è ben diversa da quella del padre. Se questi poteva vantarsi pubblicamente per la sua vita familiare modello e tradurla in un’ulteriore fattore di legittimità interna e culto ideologico, difficilmente si può dire lo stesso per Kim Jong Il.
Un successore non è stato ancora designato e le luci dei riflettori sembrano costantemente puntate su candidati diversi. Per ora, si tratta di candidati appartenenti alla “famiglia reale”. Ma non è escluso che un tecnocrate o un militare, forte del sostegno vitale dell’esercito, possa improvvisamente irrompere sulla scena. Scenario, questo, che potrebbe essere rischioso per l’incolumità sia del regime che del suo attuale presidente.