Attenzione, "pericolo" doppia laurea
Particolare sul quartiere
universitario del distretto di Jiading (Shanghai). © Silvia Sartori, Luglio
2012.
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Shanghai – Sabato
sera, ore 10, il mio cellulare squilla per una chiamata da un numero cinese
sconosciuto. Un po’ stupita dall’orario, e curiosa di sapere chi potesse
essere, rispondo. Al contrario di quanto potessi immaginarmi, si tratta di un
laureando italiano, attualmente a Shanghai
per un periodo di studio per un corso di “doppia laurea”. Passeggiando per il
suo campus d’adozione ha scoperto dell’esistenza del progetto di cui mi occupo
e, chiedendo informazioni al referente dell’università, è risalito a me.
Vuole avere un po’ di informazioni
su cosa facciamo e, soprattutto, su eventuali possibilità di collaborazione.
Qualche giorno piu’ tardi ci siamo incontrati.
E allora mi racconta come stanno
veramente le cose. Terminata la sua laurea italiana in ingegneria, ha deciso di continuare gli studi con un programma di doppia laurea, promosso dal suo ateneo lombardo assieme all'università cinese con cui collaboro anch'io. Aveva già trascorso un anno accademico con
loro qui a Shanghai
qualche anno fa ed ora è tornato, per un semestre, per sviluppare un progetto di
tesi-ricerca che gli consentirebbe di conseguire un titolo di laurea presso l’
“ateneo gemello” cinese.
Peccato che, al suo ritorno al campus
cinese a inizio 2013, il nostro sia stato de facto
abbandonato a se stesso. Sì, ha una “referente locale” (una signora cinese che
parla anche inglese ed italiano) ma l’hanno assegnato ad un professore che poco
se ne intende del
settore su cui il nostro vuole fare ricerca e che, come la “referente locale”, poco è in grado di assisterlo a destreggiarsi nel mondo altamente gerarchico e
politicizzato che sono le grandi università cinesi.
A complicare ulteriormente
le cose si aggiunge il fatto che il nostro non parla cinese mentre il suo tutor
universitario a stento parla un po’ di inglese (cosa tanto sorprendente quanto
vera, come sperimentai anch’io quando cominciai a collaborare con questa pur
prestigiosa università di Shanghai).
A distanza di un paio di mesi di
tentativi vani, in cui il nostro cerca di farsi strada da solo, l’unica opzione
che il suo “campus italiano” a Shanghai è in grado di offrirgli è un mini
progetto di ricerca in un laboratorio dell’università, talmente in disuso che,
quando lo accompagnano la prima volta, non riescono neppure a trovare la chiave
per aprirlo. Pare fossero due anni che nessuno ci metteva piu’ piede.
Anche una volta
messovi piede, però, il nostro si rende conto che, lì dentro, di spazio e
mezzi per la ricerca ce ne sono ben pochi. “Se volessi, potrei accettare e
semplicemente timbrare il cartellino e di qui a due mesi avrei la mia laurea”,
mi spiega. Ma lui è ambizioso, ha un paio di progetti di ricerca per la testa e
non vuole passarsi il semestre cinese a scaldare una sedia di laboratorio per
avere un pezzo di carta finale.
Da qui l’iniziativa di contattare il
nostro progetto e studiare delle forme di collaborazione.
Oggi ero a pranzo con un amico italiano che, parlando degli ultimi arrivi italiani a Shanghai, mi ha raccontato di come, lunedì, si sia trovato in ufficio una giovane toscana che, in un alternarsi di sfoghi di rabbia e lacrime agli occhi, si è rivolta a lui alla ricerca d'aiuto. La sua Facolta’ di Sc. Politiche l’ha spedita a Shanghai per un “periodo di scambio con internship” per poi “abbandonarla a se stessa” una volta trovatasi qui.
“Il Professore m’ha detto che avrei potuto trovare un appartamento di 120 m² a 250 euro al mese”, ripeteva lei, che è figlia di operai e con altri 4 fratelli alle spalle. Arrivata a Shanghai , si è accorta che le cose non stanno esattamente cosi, e paga 400 euro per una stanza. E in aggiunta a questo primo “scontro con la realtà”, ora si deve arrangiare a trovare un posto in cui fare i tre mesi obbligatori di stage.
E’ vero che, chi piu’ chi meno, tutti
noi da studenti ci siamo dovuti ingegnare e destreggiare creativamente per
sopravvivere all’“organizzazione sui generis” dell’università italiana. Nulla
di nuovo, dunque, su questo fronte.
E’ vero anche che, soprattutto
quando si è all’inizio della propria carriera, determinazione, buona volontà e ambizione sono un buon punto di partenza. Ma non bisogna dimenticare anche
una certa flessibilità, mista a qualche, sempre buona, dose di
umiltà. Aggiungiamoci che, nel caso di
esperienze all’estero, è poi fondamentale informarsi e prepararsi prima di partire, e avere una mentalità aperta e un
alto tasso di adattamento e di tolleranza nei confronti del diverso, anche quando questo assume
aspetti scioccanti.
Ciò detto, però, mi sembra che il mondo dell’istruzione sia diventato
una grande money-making machine. Ora
che l’Italia si è accorta che sulla mappa geografica c’è anche un grande
Paese che si chiama Cina, spuntano ovunque “corsi di doppia laurea”, programmi
di scambio, stage e gemellaggi con “campus cinesi”. Per carità, iniziative
encomiabili e lungimiranti SE adeguatamente organizzate e sostenute.
Anche l’università svedese presso
la quale ho conseguito il mio Master prevedeva un periodo di studio con
un’università partner a Shanghai .
Però nel mio caso io non dovetti pagare nessuna fee aggiuntiva, mi venne affidato un
Professore cinese perfettamente fluent
in inglese (io all’epoca non parlavo una parola di cinese) e, soprattutto,
avevamo a disposizione una “referente locale” scandinava, in grado di assisterci in tutto, dal trovare casa all’accedere a personale e servizi dell’università.
E’ vero che ognuno deve informarsi bene, prima
di prendere certe decisioni e partire, però è anche doveroso che l’istituzione di
partenza fornisca un certo tipo di assistenza e di informazione ai suoi
studenti, a maggior ragione quando questi pagano rette aggiuntive per il
presunto “valore aggiunto” di un’esperienza cinese, che sia o meno una doppia
laurea. Altrimenti questi presunti “programmi di scambio” con presunti “campus
italiani” in Cina diventano solo uno specchio per allodole.
Rientrata dalla mia pausa pranzo, e
tornata alle mie email, trovo un
messaggio dal mio giovane ingegnere. “Le comunico con
gioia” – scrive – “che ho trovato un progetto di tesi: svilupperò un progetto
con l'Ing. con cui lei mi ha messo in
contatto.”
Sono felice. Da parte mia, ho fatto ben poco ma talvolta basta proprio
poco per aiutare gli altri. E basterebbe ancora di meno se le cose, a monte,
fossero organizzate come si deve.