Di vita e morte, progetti, routine ed adrenalina, Vecchio e Nuovo Mondo


Shanghai -- Ad inizio del mese è passata a trovarmi una vecchia amica francese che non vedevo da più di dieci anni.
Eravamo coinquiline in Spagna, ai tempi dell'università. Un'estate di vida loca spagnola e la promessa che di lì a qualche anno saremo andate in India con lo zaino in spalle. Lei che sognava di fare il medico in Africa, io di venire in Cina/Asia.

Ad oggi, lei continua a vivere in Francia.
Da tre, quattro anni lavora presso una grossa banca francese. Ha un paio d'anni meno di me, uno stipendio fisso con tutti i generosi benefici del welfare francese, possiede due auto, ha acquistato due appartamenti, convive, e conta di avere un figlio presto.
In India c'e' già stata.
Con un viaggio organizzato, lamentandosi di non aver avuto alcun contatto con la "vera India".

Mi aveva scritto a dicembre scorso.
"Tra marzo e aprile verro' in Cina."
(Viaggio organizzato ancora una volta).
E mi chiedeva se in un determinato giorno di aprile fossi libera per incontrarla.
Già lì, una prima avvisaglia.
Nella mia vita cinese, io non pianifico oltre una settimana.
Ci provavo, a fare i pomposi "programmi di lungo periodo". Poi ho smesso, quando mi sono resa conto che le cose sono continuamente in fieri e che fare grandi piani è tanto time-consuming quanto inutile. Ora ho una "cornice di riferimento" e detesto fare programmi per il weekend - con tutte le scadenze e gli appuntamenti che mi intasano gia' le giornate infrasettimanali, ci tengo a conservare la mia 'liberta' di improvvisazione' almeno nel fine settimana!
Figuriamoci dunque se a dicembre so che ne sarà di me il 9 aprile dell'anno dopo!

Glielo dissi subito e lei non capi' bene.
C'era qualcosa di anacronistico in quello scambio di mail. Come se fossero il passato e il futuro a scriversi.

A 32 anni, io ho un contratto di lavoro cinese.
Non ho acquistato né immobili né automobili.
Ho un "welfare da sopravvivenza decente" e in India ci devo ancora andare. Per scelta.

Dal 2005, però, vivo in Asia.
E i viaggi organizzati continuano a starmi molto stretti.

A qualche giorno dal suo rientro in Francia, la mia amica vient de m'écrire le impressioni che si e' portata a casa.
E' rimasta colpita dal mio stile di vita, che ora in parte mi invidia. Per come vivo quotidianamente sull'onda dell'adrenalina, in un mare di persone, situazioni, incontri e viaggi stimolanti.
Lei, dopo due settimane di assenza, dice di aver trovato tutto uguale e identico. Non una virgola fuori posto nel lavoro che aveva lasciato prima di partire.
Piuttosto, si è resa conto di come la sua vita quotidiana debba continuamente alimentarsi di programmi futuri. Di pianificare ogni weekend e ogni settimana di ferie, per "evadere" (cito testualmente) da una quotidianità che, benche' tutto sommato le stia bene, non la esalta.

Della mia di vita quotidiana, invece, dice che "c'est grisant mais ça fait peur" ("e' esaltante ma fa paura"). Fa paura - a lei - perchè: "pare che viva come se dovessi morire domani".

E' stato un commento che ho apprezzato moltissimo e che ha dato il la' ad un sacco di pensieri.
(Non che sia un argomento di riflessioni inedito - con molti amici, questo è "pane quotidiano" di tante chiacchierate.)

Mi è subito venuto alla mente un amico italiano, anche lui da molti anni residente in giro per l'Asia, che, proprio un paio di mesi fa, mi diceva a cena: "Penso spesso che se io dovessi morire domani, sarei soddisfatto della mia vita. Penso a tutti i posti che ho girato, a tutte le persone che ho conosciuto, alle situazioni in cui mi sono trovato a 35 anni, rispetto ad un mio coetaneo medio in Europa."

Benchè creda tuttora di essere anch'io troppo proiettata sul futuro, la prima cosa a cui ho pensato, al leggere quel suo commento, è stata: "Se anche fosse, è per forza di cose negativo vivere come se ogni giorno fosse l'ultimo?"
Non un attimo di esitazione nel rispondere: Per me no.
Anzi, è uno skill, è un traguardo. Lo prenderei davvero come un complimento.
Avrei paura, invece, e mi sentirei morire, se constatassi che la mia vita è ingabbiata nella routine, e se dovessi aver bisogno di pianificarmi ogni spazio libero nel futuro per "mandare giu' il presente".

In una frase che mi piace moltissimo, Agatha Christie, nella sua autobiografia, scrive a proposito del futuro: "dim and uncertain, for which one can make any number of interesting plans, the wilder and more improbable the better, since - as nothing will turn out as you expect it to do - you might as well have the fun of planning anyway."

E allora, quando E. mi scrive che pare che io debba morire domani "perchè " - cito - "è come se rifiutassi di fare progetti di lungo periodo", vedo che semplicemente guardiamo alla vita e al futuro con due lenti diverse.
Non e' vero che io di progetti futuri non ne faccia.
Io mi diletto ogni giorno a farne, di progetti futuri. Più e meno verosimili. Più e meno esotici. Ma à la Christie, perche' ho imparato, anch'io amaramente, che non perche' fai programmi ben studiati e calcolati allora la realtà obbedirà alle tue pretese. Cerco invece di fare attenzione acche' questi piani futuri non si sovrappongano, e non si sostituiscano, all'adrenalina di cui ho bisogno hic et nunc.

Lo rispetto, il tipo di vita che si e' "scelta" lei.
Mi piacerebbe pure poter trovare 'conforto', come fa lei, nella stabilita' indotta dalla routine e nelle pseudo-certezze che i 'programmi futuri' sembrano darle. Come dire, talvolta anch'io "vorrei volere" quel genere di vita.
Semplicemente, almeno per ora, so che non sarebbe la mia vita.
Se a lei la stabilita' da' un appeasing sense of security, nel mio caso troppe certezze (frutto dei piani), mi mettono a disagio. Come minimo mi fanno venire il prurito. Itchy feet, dicono gli inglesi.
Nella definizione - che accompagna progetti, stabilita' e certezze - io vedo innanzi tutto i paletti che delimitano il perimetro. Lei probabilmente vede il 'pieno' che ci sta dentro, io vedo il cancelletto chiuso a tutto quello che ci sta attorno.

Non dico che il mio stile di vita sia migliore. O piu' facile - anzi. Di sicuro non è una scelta di comodo. Spesso e' un azzardo contro la sorte, un tuffo nel buio.
Casomai, allora, quello che fa paura a me del mio stile di vita è il bisogno costante, che ne consegue, di nuova adrenalina. Il problema di quelli che sentii definire da un funzionario del WFP [Programma Alimentare Mondiale] "adrenaline junkies".
Ovvero, se per la mia amica Il Cruccio e' il bisogno continuo di pianificare, come a voler 'controllare' la realta' ed evaderne contemporaneamente, per i "dipendenti da adrenalina" il rischio e' di finire con l'essere delle restless souls, mai sazie del tasso di sfida che preogressivamente sperimentano.

Nel mio ufficio al ventiduesimo piano di un grattacielo in centro a Shanghai, ho conservato un bigliettino trovato anni fa in un cioccolatino, qualche giorno prima di uno dei vari ritorni in Cina. "Chi troppo vuole, nulla stringe", continua a ricordarmi, appeso alla finestra che spazia a 180 gradi tra il Bund e la Piazza del Popolo, sopra a palazzi modernissimi e a vecchie case di inizio Novecento.
Il buon vecchio giusto mezzo.

La mia amica conclude la mail consigliandomi il "BaseJump". E aggiungendo: "Je comprends vraiment pourquoi tu ne peux pas revenir travailler en Italie maintenant... trop figé! "
[Ora capisco davvero perche' tu non possa tornare a lavorare in Italia ... e' troppo fossilizzata!]