Disconnected
Una cosa con la quale gente come me, che rimbalza in giro per il mondo da tempo, deve ritornare a fare i conti ciclicamente e' il senso di disconnection nei confronti degli amici di casa, degli amici distanti, degli amici che in Cina e/o Asia non hanno mai messo piede.
Vogliono sapere, ti chiedono. Di tutto. Legittimamente. Cosa mangi, dove abiti, ma come fai quando? e dove vai se? e cosa succede? Insomma, i dettagli - magari per te ormai irrisori - che compongono il succo della tua routine.
All'inizio, racconti, descrivi, illustri. O perlomeno ci provi. Del resto anche per te e' tutto una sorpresa e senti il bisogno di raccontarla e condividerla.
Poi per te quello diventa routine, al punto che non ti accorgi neanche piu' di che cosa sia stra-ordinario e cosa, invece, ordinario. E intanto, perlomeno in Cina, comincia invece a travolgerti un vortice di imprevisti, sorprese, aneddoti che mai avresti immaginato.
Ogni mattina io mi alzo chiedendomi cosa mi succedera' di imprevisto prima della fine della giornata, con la stessa curiosita' effervescente che ha un bimbo alla vigilia di Natale. Perche' so per certo che qualche sorpresa e' li' in agguato. Sorprese positive e negative, intendiamoci. Ma non passa quasi mai giorno in cui la mia vita shanghainese non abbia un qualche 'colpo di scena'. Magari di poco conto, magari fatiscente, ma sufficiente a pepare le mie giornate. Perche' se una cosa e' certa, nel mezzo del brulichio della vita cinese, e' che non ti annoi mai, non c'e' mai una giornata prevedibile (al contrario di quello che provo quando torno in Italia, dove mi sembra di poter anticipare - come in un fotogramma - la mia vita per anni a venire, giornata dopo giornata).
Il rischio, quanto meno per me, e' piuttosto di vivere di estremi. Da giornate in cui tocchi il cielo con un dito ad altre in cui intravedi il vortice della terra. Da un estremo all'altro. Curioso, ma nessuna via di mezzo nell'Impero di Mezzo.
E li allora i tuoi amici ti chiedono: ma dai, racconta. ma cosa e' successo? in che senso? cosa intendi per? ma perche' non spieghi?
(Questo ultimo magari non me lo chiedono proprio.
Non apertamente almeno. Ma io lo sento li, che mi aspetta al varco o che aleggia nell'aria.)
E allora tu provi a spiegare. Perche' vuoi spiegare.
Fai per cominciare ma ti rendi conto che anche solo per illustrare le premesse devi partire dall'abc della tua vita qui. Del mondo che ti circonda. E ti rendi conto che, rispondere per bene ad una di quelle domande praticamente equivale a scrivere un paio di capitoli della tua autobiografia.
Non me ne vogliate ma la forza, il tempo, la pazienza di districare queste matasse e stendere un pamphlet, non ce l'ho (piu'). Perlomeno non per email. Potessimo vederci per un caffe', una passeggiata, sarebbe tutto un altro paio di maniche. Anche una telefonata, o una skypata, would make it. (Non una tantum ma con una certa costanza altrimenti, di nuovo, il tempo e le energie spesi a sciogliere il "gelo' della distanza e dell'incompresione superano il calore delle novita'). Ma prendere in mano la mia e-penna e cominciare a scirverne per mail, ah! Da dove cominciare, dove finire, come spiegare? Come evitare fraintendimenti? e poi ognuno dei tuoi interlocutori ha un livello di conoscenza diverso, come fai a farti capire da tutti?
Il punto vero, in realta', credo stia nel fatto che mentre io la posso capire - e immaginare - la vita degli amici di casa , loro la mia, pur volendo, riescono a malapena ad abozzarla. Ed ecco perche' tutti quelli come me finiscono col raccontarvi come al secondo, terzo, quarto ritorno in patria, dopo il primo dialogo convenzionale, pur con degli amici carissimi, well, fanno fatica a parlare davvero o arrivano persino a non avere piu' nulla da dirsi. Perche' tu li puoi riempire di domande e commenti e sotto-domande, ma loro, che della tua vita non hanno neanche mai avuto un assaggio, come possono 'elaborare' certe domande?
Ricordo, tra tutti, il commento di una ex collega che, rientrata in Europa per le vacanze di Natale, si e' trovata ad avere una interminabile conversazione con una vecchia amica a proposito del suo nuovo divano. "Non la smetteva piu' di raccontare la fatica che hanno fatto per trovarlo e per sceglierlo e i dettagli del mutuo per pagarlo".
A parte il fatto che gente come noi cambia in media almeno una casa all'anno, chiaramente sempre in affitto, con un conseguente senso di attachment al proprio alloggio (e relativa mobilia) che vi lascio immaginare, l'episodio rende l'idea del livello di 'empatia' a cui lunghi anni di distanza possono portare, soprattutto se non sono alimentati dalla visita dell'amico/a in oggetto nel Paese in cui tu abiti.
Non gliene faccio una colpa.
Rimane sempre e comunque anche una mia corresponsabilita' nel non mettermi li' a spiegare regolarmente i come e i perche' di ogni piccolo evento, pero' e' anche vero che la comunicazione e' ancora una strada a due sensi e che al giorno d'oggi fattori come la distanza - o il presunto costo di una telefonata intercontinentale - non rappresentano piu' ostacoli invalicabili, o tali da scusare certi silenzi e 'letarghi'.
Telefonini, sms, social networks, skype etc. spopolano e, con loro, una miriade di sistemi di comunicazione gratuita, o quasi. (Paradossalmente, pero', nell'epoca dell'esplosione dei mezzi di comunicazione di massa, pare che il livello della comunicazione sia tra i piu' bassi.)
Certo, c'e' sempre questo dannato fuso orario di mezzo - quando io sarei libera, loro dormono o sono al lavoro. E viceversa.
Tuttavia, questo non giustifica piu' il fatto che ci si aspetti che sia sempre l'espatriato a farsi sentire, quasi che - lasciando l'Italia - si fosse macchiato di una colpa da cui puo' provare a redimersi telefonando scrivendo mandando foto.
Quello che piu' spiace, in realta', e' constatare la progressiva espansione di questo senso di disconnection.
Di nuovo, io immagino e capisco i nuovi stadi che loro stanno vivendo - loro, i miei, well, e' un altro pianeta.
Un pianeta che possono capire, allora, i tuoi nuovi amici, quelli che ti sei fatto nel Paese in cui vivi, amici che, pero', del tuo passato conoscono poco o nulla. E tu ti trovi allora a saltellare, in un equilibrio sempre nuovo, tra passato (presente) e futuro.
Certo, rimangono dei vuoti nel mezzo. Ma e' uno dei prezzi che sapevi di dover pagare scegliendo questo stile di vita.
Quanto a provare a raccontare e spiegare, beh, non ci ho ancora rinunciato. Ma il giorno in cui avro' la liberta' mentale e temporale per comporre, allora scrivero' per bene. Perche' tra lo scrivere cose a meta', passibili di fraintendimento, e non scrivere affatto (well, posticipandolo a data da definirsi), beh, per ora ho scelto la seconda - fatta eccezione per questo blog.
Vogliono sapere, ti chiedono. Di tutto. Legittimamente. Cosa mangi, dove abiti, ma come fai quando? e dove vai se? e cosa succede? Insomma, i dettagli - magari per te ormai irrisori - che compongono il succo della tua routine.
All'inizio, racconti, descrivi, illustri. O perlomeno ci provi. Del resto anche per te e' tutto una sorpresa e senti il bisogno di raccontarla e condividerla.
Poi per te quello diventa routine, al punto che non ti accorgi neanche piu' di che cosa sia stra-ordinario e cosa, invece, ordinario. E intanto, perlomeno in Cina, comincia invece a travolgerti un vortice di imprevisti, sorprese, aneddoti che mai avresti immaginato.
Ogni mattina io mi alzo chiedendomi cosa mi succedera' di imprevisto prima della fine della giornata, con la stessa curiosita' effervescente che ha un bimbo alla vigilia di Natale. Perche' so per certo che qualche sorpresa e' li' in agguato. Sorprese positive e negative, intendiamoci. Ma non passa quasi mai giorno in cui la mia vita shanghainese non abbia un qualche 'colpo di scena'. Magari di poco conto, magari fatiscente, ma sufficiente a pepare le mie giornate. Perche' se una cosa e' certa, nel mezzo del brulichio della vita cinese, e' che non ti annoi mai, non c'e' mai una giornata prevedibile (al contrario di quello che provo quando torno in Italia, dove mi sembra di poter anticipare - come in un fotogramma - la mia vita per anni a venire, giornata dopo giornata).
Il rischio, quanto meno per me, e' piuttosto di vivere di estremi. Da giornate in cui tocchi il cielo con un dito ad altre in cui intravedi il vortice della terra. Da un estremo all'altro. Curioso, ma nessuna via di mezzo nell'Impero di Mezzo.
E li allora i tuoi amici ti chiedono: ma dai, racconta. ma cosa e' successo? in che senso? cosa intendi per? ma perche' non spieghi?
(Questo ultimo magari non me lo chiedono proprio.
Non apertamente almeno. Ma io lo sento li, che mi aspetta al varco o che aleggia nell'aria.)
E allora tu provi a spiegare. Perche' vuoi spiegare.
Fai per cominciare ma ti rendi conto che anche solo per illustrare le premesse devi partire dall'abc della tua vita qui. Del mondo che ti circonda. E ti rendi conto che, rispondere per bene ad una di quelle domande praticamente equivale a scrivere un paio di capitoli della tua autobiografia.
Non me ne vogliate ma la forza, il tempo, la pazienza di districare queste matasse e stendere un pamphlet, non ce l'ho (piu'). Perlomeno non per email. Potessimo vederci per un caffe', una passeggiata, sarebbe tutto un altro paio di maniche. Anche una telefonata, o una skypata, would make it. (Non una tantum ma con una certa costanza altrimenti, di nuovo, il tempo e le energie spesi a sciogliere il "gelo' della distanza e dell'incompresione superano il calore delle novita'). Ma prendere in mano la mia e-penna e cominciare a scirverne per mail, ah! Da dove cominciare, dove finire, come spiegare? Come evitare fraintendimenti? e poi ognuno dei tuoi interlocutori ha un livello di conoscenza diverso, come fai a farti capire da tutti?
Il punto vero, in realta', credo stia nel fatto che mentre io la posso capire - e immaginare - la vita degli amici di casa , loro la mia, pur volendo, riescono a malapena ad abozzarla. Ed ecco perche' tutti quelli come me finiscono col raccontarvi come al secondo, terzo, quarto ritorno in patria, dopo il primo dialogo convenzionale, pur con degli amici carissimi, well, fanno fatica a parlare davvero o arrivano persino a non avere piu' nulla da dirsi. Perche' tu li puoi riempire di domande e commenti e sotto-domande, ma loro, che della tua vita non hanno neanche mai avuto un assaggio, come possono 'elaborare' certe domande?
Ricordo, tra tutti, il commento di una ex collega che, rientrata in Europa per le vacanze di Natale, si e' trovata ad avere una interminabile conversazione con una vecchia amica a proposito del suo nuovo divano. "Non la smetteva piu' di raccontare la fatica che hanno fatto per trovarlo e per sceglierlo e i dettagli del mutuo per pagarlo".
A parte il fatto che gente come noi cambia in media almeno una casa all'anno, chiaramente sempre in affitto, con un conseguente senso di attachment al proprio alloggio (e relativa mobilia) che vi lascio immaginare, l'episodio rende l'idea del livello di 'empatia' a cui lunghi anni di distanza possono portare, soprattutto se non sono alimentati dalla visita dell'amico/a in oggetto nel Paese in cui tu abiti.
Non gliene faccio una colpa.
Rimane sempre e comunque anche una mia corresponsabilita' nel non mettermi li' a spiegare regolarmente i come e i perche' di ogni piccolo evento, pero' e' anche vero che la comunicazione e' ancora una strada a due sensi e che al giorno d'oggi fattori come la distanza - o il presunto costo di una telefonata intercontinentale - non rappresentano piu' ostacoli invalicabili, o tali da scusare certi silenzi e 'letarghi'.
Telefonini, sms, social networks, skype etc. spopolano e, con loro, una miriade di sistemi di comunicazione gratuita, o quasi. (Paradossalmente, pero', nell'epoca dell'esplosione dei mezzi di comunicazione di massa, pare che il livello della comunicazione sia tra i piu' bassi.)
Certo, c'e' sempre questo dannato fuso orario di mezzo - quando io sarei libera, loro dormono o sono al lavoro. E viceversa.
Tuttavia, questo non giustifica piu' il fatto che ci si aspetti che sia sempre l'espatriato a farsi sentire, quasi che - lasciando l'Italia - si fosse macchiato di una colpa da cui puo' provare a redimersi telefonando scrivendo mandando foto.
Quello che piu' spiace, in realta', e' constatare la progressiva espansione di questo senso di disconnection.
Di nuovo, io immagino e capisco i nuovi stadi che loro stanno vivendo - loro, i miei, well, e' un altro pianeta.
Un pianeta che possono capire, allora, i tuoi nuovi amici, quelli che ti sei fatto nel Paese in cui vivi, amici che, pero', del tuo passato conoscono poco o nulla. E tu ti trovi allora a saltellare, in un equilibrio sempre nuovo, tra passato (presente) e futuro.
Certo, rimangono dei vuoti nel mezzo. Ma e' uno dei prezzi che sapevi di dover pagare scegliendo questo stile di vita.
Quanto a provare a raccontare e spiegare, beh, non ci ho ancora rinunciato. Ma il giorno in cui avro' la liberta' mentale e temporale per comporre, allora scrivero' per bene. Perche' tra lo scrivere cose a meta', passibili di fraintendimento, e non scrivere affatto (well, posticipandolo a data da definirsi), beh, per ora ho scelto la seconda - fatta eccezione per questo blog.