Una notte d'inverno a Pechino
“Risveglio tra hutong [i vecchi quartieri tradizionali pechinesi] innevati.”
© Silvia Sartori - Pechino, Dicembre
2012.
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Pechino – Erano oramai le 8:40 quando sono
uscita. Il freddo secco pungeva. Si intravedevano i primi fiocchi di neve, rischiarati dalla luce dei lampioni.
Decido di incamminarmi per fare due
passi a Tian’anmen, quando mi assale una sorta di “boato musicale” alle spalle. Mi sovvengo che, dietro al ristorante
in cui ho appena cenato, c’e’ un parco di quartiere. La musica ad alto volume quasi
rintuona contro il silenzio e il buio di una fredda serata d’inverno pechinese,
dove pochi sono i passanti in circolazione, ancora meno le luci all’orizzonte.
Abbandono il piano Tian’anmen e mi lascio
invece guidare dalla musica.
Il parco e’ ancora aperto. Soprattutto,
e’ ancora vivacemente animato: ogni venti o trenta metri e’ puntellato da un
gruppetto di gente del quartiere, habitues’
che ogni sera (e presumibilmente ogni mattina) li’ si incontrano per fare
ginnastica, ballare, cantare, giocare a carte e quant’altro. Ogni gruppo si
porta con se’ un “impianto stereo” che immancabilmente gareggia con quello del
vicino, col conseguente “effetto boato” d’insieme.
Mi addentro in questa sorta di “realta’ parallela” nel cuore della
capitale, in un certo senso il volto
umano, molto umano, di quella creatura mastodontica, solenne, massiccia e grandoiosa che
puo’ essere Pechino.
Le prime in cui mi imbatto sono le
donne del “gruppo dell’aerobica”.
Piuttosto ben sincronizzate e coordinate, saltellano, piroettano e sventolano
le braccia in aria, al suono di una canzone inglese che si addirrebbe piuttosto ad
un gruppo di adolescenti in piena crisi ormonale. (Mi chiedo se qualcuna di
loro capisca davvero il testo. Ne dubito fortemenete, anzi, mi auguro non lo capisca).
Qualche metro piu’ in la’, c’e’ il
gruppo che, almeno questa sera, la fa da padrone: numericamente superiore e
con, dalla sua, musicisti, interpreti di karaoke e un paio di microfoni,
inscena marce pseudo-militari e inni di vaga memoria alpina.
Oltre il piccolo fiumiciattolo che
solca il parco, ci sono le coppie che
ballano, ognuna interpretando, in
modo completamente diverso l’una dall’altra, una stessa melodia di sottofondo.
Ci sono i piccoli ma agguerritissimi raduni di giocatori di carte, completamente assorti nelle loro puntate, a
dispetto della nevicata in corso. C’e’ chi pratica il tai ji quan tra gli
alberi, e chi invece, piu’ e meno seriamente, si allena a quegli attrezzi ginnici
che si trovano in ogni parco o condominio cinese.
Tra un gruppo e l’altro, continuano i
loro giri un paio di corridori e di jogger dal passo spedito. I piu’
solitari vanno a passeggio col loro fidato amico a quattro zampe. Qualche
anziano si ferma, contemplativo, ad intonare una canzone o, semplicemente, a studiare
quanto gli succede attorno.
Nessuno sembra far caso al termometro sceso sotto lo zero ed ai
fiocchi di neve sempre piu’ copiosi. A guidicare dall’atmosfera generale, sembra
piuttosto di essere in spiaggia sotto
l’ombrellone (sono io l’unica a congelarmi?).
C’e’ una magia d’insieme che ricorda certe favole d’inverno di creature
misteriose. Nei volti leggi una serenita’ ed un’allegria invidiabili, e che
quasi fatichi ad associare e riconciliare con i ritmi e i vortici della “ vita
normale” che altrimenti segna la quotidianita’ pechinese (e cinese in genere).
Tra le pareti di quel parco, ti dimentichi d’essere nella capitale di una delle
piu’ grandi potenze mondiali. Niente, li’, ha a che vedere con “guerre commerciali”
e grandi comizi politici.
Eppure, non e’ che l’altra faccia della stessa medaglia.
Se a Shanghai ho sempre l’impressione che la gente viva per lavorare (e
soprattutto per fare soldi), a Pechino, a modo suo, la gente mi sembra che sappia
ancora godersi la vita. Soprattutto, mi sembra che la vita voglia ancora godersela.
Anche di notte, in piena nevicata,
sotto lo zero.