L'uomo cinese moderno
Il vecchio Signor Wang scende ogni mattina presto e alle 6 comincia i suoi esercizi di taiqichuan (太极拳) in giardino con i suoi coetanei. Un po’ di ginnastica, qualche danza aerobica, un paio di partite di scacchi cinesi, qualche canzone cantata in coro e buona parte della mattinata se ne va, scandita da ritmi e attività di una Cina d’altri tempi.
A qualche migliaia di chilometri di distanza, il figlio cinquantenne continua intanto le corse col suo taxi. Ha dovuto lasciare il paese natale già da dieci anni per riversarsi in uno dei brulicanti centri urbani costieri dove è nata e sta ingigantendosi la “Cina del miracolo”. La moglie l’ha seguito e fa la ragioniera presso un piccolo esercizio commerciale. Vivono in uno di quei vecchi complessi residenziali squadrati, tristemente tipici di ogni società socialista. Abitano a circa 40 minuti dalla città vera e propria, così da potersi permettere di evitare gli affitti del centro, affitti che superano facilmente il salario congiunto di marito e moglie. Il figlio, il loro solo erede come da “politica del figlio unico”, sta ancora studiando all’università dove, grazie al cielo, è riuscito ad essere stato ammesso. Questo gli consentirà di ambire ad una posizione medio-alta, di riuscire magari a vincere una borsa di studio per trascorrere qualche anno all’estero (possibilmente negli Stati Uniti) per poi tornare in Cina, comprarsi casa e auto, metter su famiglia, prendersi cura dei genitori e potersi permettere tutti i servizi sociali che il benevolo comunismo soleva garantire a chiunque. Gli mancano ancora due anni per terminare il corso di studi universitari eppure il giovane Bo già sta guardandosi attorno e invia curricula per poter mettere in moto la propria carriera, non appena ha terminato i corsi. Nell’occhio del mirino ci sono le città di Shanghai e Canton, magari Pechino. A tornare a ovest, nella città dei genitori, non ci pensa proprio. Opportunità lì non ne intravede nel breve periodo, di ditte straniere non ce ne sono ancora abbastanza e poi i livelli di salario laggiù sono notevolmente più bassi di quanto le megalopoli internazionali moderne possono offrirgli, a patto che riesca a farsi largo tra le moltitudini di concorrenti, suoi coetanei.
Il giovane Bo incarna per molti versi il profilo del nuovo giovane cinese, per lo meno di quello che riesce a conseguire la laurea. Per quanti non ottengono un’educazione di livello alto, infatti, il ventaglio di scenari futuri non cambia molto rispetto a quello dei genitori, benché molto continui a dipendere dallo spirito di intraprendenza individuale. Invece Bo, aspirante ingegnere, studia duro per poter spiccare fra la massa e riuscire ad entrare in un grosso gruppo industriale. Studia l’inglese e cerca di laurearsi al più presto. Partecipa a fiere e training aziendali per costruire già il suo portafoglio di contatti utili. Se riesce ad emergere dal gruppo e a venir selezionato tra i laureati top, quelli di cui le grandi ditte in Cina hanno disperatamente bisogno, a 23 anni può già ambire ad uno stipendio di 50 mila dollari l’anno. Un paio di anni di esperienza professionale che poi gli consentiranno di fare domanda per un master o un dottorato in Nord America. E, allora, tornato in Cina, la scalata professionale sarà assicurata.
Non avrà tempo per fare i suoi esercizi di taiqichuan ma non dovrà neanche più abitare a 20 fermate di metrò dal centro, in un vecchio stabile socialista (che molto probabilmente all’epoca sarà già stato abbattuto). A quel punto, non avrà neanche più nulla da invidiare ai suoi connazionali occidentali. E chissà che, invece, non comincino loro a rimpiangere di non essere cinesi…
[Articolo originariamente composto in novembre 2006]